I test eseguiti dai laboratori installati su Phoenix hanno identificato l’acqua in un campione di suolo congelato finalmente inserito nel Thermal and Evolved-Gas Analyzer (TEGA). Il campione portato dal braccio robotico è stato riscaldato e fra le sostanze sprigionate è stato identificato del vapor acqueo.
“Abbiamo acqua”, ha detto William Boynton della University of Arizona, responsabile del Thermal and Evolved-Gas Analyzer. “Avevamo già trovato evidenze di ghiaccio d’acqua nelle osservazioni del Mars Odyssey Orbiter, oltre che direttamente con Phoenix, quando diversi dettagli di uno scavo sono scomparsi, sublimando, ma questa volta l’acqua è stata rilevata direttamente.”
Con risultati così attraenti e il veicolo in ottime condizioni, la NASA ha annunciato lo stanziamento di fondi per l’estensione della missione fino al 30 settembre. La missione principale durava 90 giorni e si sarebbe conclusa a fine agosto: ora è stata pianificata un’aggiunta di cinque settimane.
“Phoenix è in ottima salute e le proiezioni sulla disponibilità di energia solare sono buone. Vogliamo quindi sfruttare tutti i vantaggi di avere questa risorsa in uno dei più interessanti luoghi di Marte”, ha detto Michael Meyer, capo scienziato del Mars Exploration Program al quartier generale NASA di Washington.
Il campione di suolo proviene da uno scavo profondo circa 5 centimetri che ha scoperto uno strato duro di terreno ghiacciato. Per ben due volte si è cercato di raccogliere un saggio da testare, ma in entrambi i casi il campione è rimasto attaccato al fondo della pala di scavo. La maggior parte del materiale raccolto nell’ultimo tentativo è rimasto esposto all’aria per un paio di giorni permettendo ad una parte di acqua di vaporizzare rendendo il terreno più facile da maneggiare.
“Marte ci sta riservando diverse sorprese”, ha detto Peter Smith della University of Arizona, responsabile della sonda. “Siamo emozionati perché le sorprese arrivano insieme alle scoperte. Già è sorprendente come si comporta il suolo: gli strati ricchi di ghiaccio aderiscono alla pala quando vengono tenuti al Sole al disopra degli strumenti, a differenza da quello che ci aspettavamo in base a tutte le simulazioni compiute fino ad ora. Questo ha comportato delle sfide per il conferimento dei campioni, ma abbiamo trovato dei modi per prepararlo e stiamo raccogliendo una grande quantità di informazioni per migliorare la conoscenza di quel materiale."
Fin dall’atterraggio, il 25 maggio, Phoenix ha studiato il terreno con un laboratorio chimico, il TEGA, un microscopio, una sonda di conduttività e delle fotocamere. Oltre a confermare la scoperta del ghiaccio eseguita nel 2002 dall’orbita e interpretando il comportamento appiccicoso notato da poco, il team scientifico sta cercando di capire se quel ghiaccio sia mai stato liquido a sufficienza per supportare una biologia e se composti a base di carbonio e altri componenti per la vita siano presenti.
La missione sta anche osservando il cielo, infatti uno strumento canadese utilizza un raggio laser per studiare polveri e foschie al disopra della sonda.
“È una sorgente luminosa da 30W che fa degli spettacoli laser sul pianeta Rosso”, ha detto Victoria Hipkin della Canadian Space Agency.
È stato inoltre terminato un panorama completo a 360° a colori ed in alta definizione della zona intorno al lander.
“I dettagli e gli schemi che vediamo sul terreno mostrano un panorama dominato dal ghiaccio a perdita d’occhio” ha detto Mark Lemmon della Texas A&M University responsabile della fotocamera Surface Stereo Imager. “Ci permettono di eseguire misurazioni a distanza comparando le strutture regolari con le dimensioni della sonda.”
Anche le condizioni meteorologiche sono state tenute sotto controllo e sono stati ottenuti questi risultati durante il passaggio dal Sol 1 al Sol 63.
- La trasparenza dell'atmosfera è rimasta sempre buona.
- La temperatura media è leggermente aumentata (un paio di gradi).
- Il vento spira da sud di giorno e da est di notte. Velocità media 14,4 km/h.
- La pressione è diminuita costantemente da 8,5 a 7,85 mBar.
In foto (NASA/JPL) il Panorama. Questa è una versione "piccola" da 2,5 MByte, ma ce n'è una da 60 MByte!
Time machine.
International Space Station
Europa Centrale
Kennedy Space Center - Florida
Baikonur - Kazakhstan
Kourou - French Guyana
giovedì 31 luglio 2008
Eclissi di Sole.
Domani primo agosto si verificherà un'eclissi di Sole, totale per l'Asia del nord, ma solo parziale per l'Italia.
Il massimo per noi sarà fra le 11:29 e le 11:44 a seconda della longitudine e nella migliore delle situazioni, la superficie di disco solare coperto arriverà al 10-11% (per Trieste e Bolzano). Questa percentuale diminuisce progressivamente spostandoci verso sud-ovest, fino ad arrivare a Roma, fra le prime città a restare fuori anche dalla penombra.
Il massimo per noi sarà fra le 11:29 e le 11:44 a seconda della longitudine e nella migliore delle situazioni, la superficie di disco solare coperto arriverà al 10-11% (per Trieste e Bolzano). Questa percentuale diminuisce progressivamente spostandoci verso sud-ovest, fino ad arrivare a Roma, fra le prime città a restare fuori anche dalla penombra.
mercoledì 30 luglio 2008
Phoenix – Sol 63.
Una struttura dura posta sotto Phoenix si è visibilmente modificata nell’arco temporale di quasi un mese.
La struttura denominata Snow Queen è messa in una posizione che può essere inquadrata solo dalla Robotic Arm Camera (RAC - la fotocamera sul braccio) e due foto mostrano i cambiamenti subiti. Diverse crepe, fra cui una lunga 10 centimetri ed un ciottolo di circa sette millimetri sono comparsi sulla superficie esterna. Anche la superficie ha apparentemente cambiato aspetto diventando più ruvida.
RAC ha ripreso la prima immagine di Snow Queen durante il Sol 6 (il 31 maggio) ed era stato subito evidente che quella struttura dura e levigata era stata scoperta dai retrorazzi della sonda durante l’atterraggio.
“Le immagini riprese fin dall’atterraggio hanno mostrato che queste fratture non si sono formate durante i primi 20 Sol di missione”, ha detto Mike Mellon della University of Colorado di Boulder. “Dobbiamo aspettarci di vedere ulteriori modificazioni nei prossimi 20 Sol.”
Mellon ha passato la maggior parte della sua carriera studiando il permafrost e questa possibilità di studio a lungo termine di strutture come Snow Queen la vede come una novità assoluta. È il primo caso su Marte in cui si può seguire il comportamento di ghiaccio a temperature così basse che ne impediscono l’immediata evaporazione e sublimazione. Quando venne scoperto il pezzo da circa un centimetro nello scavo Dodo-Goldilocks, impiegò diversi giorni a sparire.
Il team di Terra ha potuto seguire gli scavi Dodo-Goldilocks e Snow White in modo più continuo, grazie al fatto che possono essere inquadrati dal Surface Stereo Imager (SSI – la fotocamera tridimensionale posta sul dorso del lander), ma Snow Queen può solo essere vista con la RAC dato che si trova sotto la sonda.
Il fatto che RAC sia montata sul braccio robotico è sia un vantaggio che uno svantaggio. Il vantaggio è che può raggiungere qualsiasi punto intorno al lander per fotografarlo, anche sotto, mentre diventa uno svantaggio dato che il braccio robotico deve occuparsi di molte altre cose, la prima delle quali è il caricamento dei campioni sugli strumenti di bordo. Oltretutto per raggiungere determinati punti posti al disotto di Phoenix è necessario compiere una laboriosa serie di movimenti.
“Ho fatto una serie di ipotesi su cosa potrebbe aver provocato le fratture, ma sono tutte discutibili”, ha aggiunto Mellon. “La prima ipotesi è che gli sbalzi termici lungo diversi Sol possano generare delle tensioni che sfocerebbero in spaccature. D’altro canto però, per spaccare il ghiaccio così, servirebbero sbalzi molto repentini.”
Un’altra possibilità è che lo strato esposto possa aver subito un cambiamento di fase che lo ha ristretto. Un esempio è il sale idrato che quando perde acqua si restringe e si spezza. “Non penso sia la migliore spiegazione, perché la disidratazione dei sali dovrebbe portare alla formazione di una crosta e a fratture molto fini”, ha detto Mellon.
“Un’ulteriore alternativa è che le crepe fossero già presenti nella struttura e che la sublimazione dello strato superficiale le abbia portate alla luce.”
Per ciò che riguarda il piccolo ciottolo comparso sopra Snow Queen, potrebbe essere caduto lì da un’altra zona, ma potrebbe anche essere stato portato dall’attività della sonda.
“Per quello dobbiamo studiare con più attenzione le ombre per capire cosa può essere successo.”
Le due foto sono state riprese il 15 giugno durante il Sol 21 e il 9 luglio durante il Sol 44.
La struttura denominata Snow Queen è messa in una posizione che può essere inquadrata solo dalla Robotic Arm Camera (RAC - la fotocamera sul braccio) e due foto mostrano i cambiamenti subiti. Diverse crepe, fra cui una lunga 10 centimetri ed un ciottolo di circa sette millimetri sono comparsi sulla superficie esterna. Anche la superficie ha apparentemente cambiato aspetto diventando più ruvida.
RAC ha ripreso la prima immagine di Snow Queen durante il Sol 6 (il 31 maggio) ed era stato subito evidente che quella struttura dura e levigata era stata scoperta dai retrorazzi della sonda durante l’atterraggio.
“Le immagini riprese fin dall’atterraggio hanno mostrato che queste fratture non si sono formate durante i primi 20 Sol di missione”, ha detto Mike Mellon della University of Colorado di Boulder. “Dobbiamo aspettarci di vedere ulteriori modificazioni nei prossimi 20 Sol.”
Mellon ha passato la maggior parte della sua carriera studiando il permafrost e questa possibilità di studio a lungo termine di strutture come Snow Queen la vede come una novità assoluta. È il primo caso su Marte in cui si può seguire il comportamento di ghiaccio a temperature così basse che ne impediscono l’immediata evaporazione e sublimazione. Quando venne scoperto il pezzo da circa un centimetro nello scavo Dodo-Goldilocks, impiegò diversi giorni a sparire.
Il team di Terra ha potuto seguire gli scavi Dodo-Goldilocks e Snow White in modo più continuo, grazie al fatto che possono essere inquadrati dal Surface Stereo Imager (SSI – la fotocamera tridimensionale posta sul dorso del lander), ma Snow Queen può solo essere vista con la RAC dato che si trova sotto la sonda.
Il fatto che RAC sia montata sul braccio robotico è sia un vantaggio che uno svantaggio. Il vantaggio è che può raggiungere qualsiasi punto intorno al lander per fotografarlo, anche sotto, mentre diventa uno svantaggio dato che il braccio robotico deve occuparsi di molte altre cose, la prima delle quali è il caricamento dei campioni sugli strumenti di bordo. Oltretutto per raggiungere determinati punti posti al disotto di Phoenix è necessario compiere una laboriosa serie di movimenti.
“Ho fatto una serie di ipotesi su cosa potrebbe aver provocato le fratture, ma sono tutte discutibili”, ha aggiunto Mellon. “La prima ipotesi è che gli sbalzi termici lungo diversi Sol possano generare delle tensioni che sfocerebbero in spaccature. D’altro canto però, per spaccare il ghiaccio così, servirebbero sbalzi molto repentini.”
Un’altra possibilità è che lo strato esposto possa aver subito un cambiamento di fase che lo ha ristretto. Un esempio è il sale idrato che quando perde acqua si restringe e si spezza. “Non penso sia la migliore spiegazione, perché la disidratazione dei sali dovrebbe portare alla formazione di una crosta e a fratture molto fini”, ha detto Mellon.
“Un’ulteriore alternativa è che le crepe fossero già presenti nella struttura e che la sublimazione dello strato superficiale le abbia portate alla luce.”
Per ciò che riguarda il piccolo ciottolo comparso sopra Snow Queen, potrebbe essere caduto lì da un’altra zona, ma potrebbe anche essere stato portato dall’attività della sonda.
“Per quello dobbiamo studiare con più attenzione le ombre per capire cosa può essere successo.”
Le due foto sono state riprese il 15 giugno durante il Sol 21 e il 9 luglio durante il Sol 44.
martedì 29 luglio 2008
50 anni fa...
Dopo che nell'ottobre del 1957 l'Unione Sovietica raggiungeva lo spazio per prima con lo Sputnik, gli Stati Uniti corsero ai ripari utilizzando il National Advisory Committee for Aeronautics (NACA) creato il 3 marzo 1915 per organizzarsi e cercare di creare il proprio programma spaziale.
Presto si resero conto che era necessario un nuovo organismo specifico per l'esplorazione spaziale e così il 29 luglio 1958, l'allora presidente USA Dwight D. Eisenhower firmò l'atto di costituzione della National Aeronautics and Space Administration (NASA).
Rimpiazzò ufficialmente il NACA il primo di ottobre dello stesso anno e da allora è diventata il simbolo della ricerca e delle conquiste, non solo spaziali, ma della scienza e della tecnologia moderna.
Nell'immagine il logo dei 50 anni della NASA, composto da un 50 dove lo zero è un sole eclissato e con una galassia a spirale sullo sfondo.
Presto si resero conto che era necessario un nuovo organismo specifico per l'esplorazione spaziale e così il 29 luglio 1958, l'allora presidente USA Dwight D. Eisenhower firmò l'atto di costituzione della National Aeronautics and Space Administration (NASA).
Rimpiazzò ufficialmente il NACA il primo di ottobre dello stesso anno e da allora è diventata il simbolo della ricerca e delle conquiste, non solo spaziali, ma della scienza e della tecnologia moderna.
Nell'immagine il logo dei 50 anni della NASA, composto da un 50 dove lo zero è un sole eclissato e con una galassia a spirale sullo sfondo.
Phoenix – Sol 62.
Anche l'ultimo tentativo di inserire un campione di ghiaccio nel forno #0 del TEGA non ha avuto successo. La maggior parte del materiale raccolto è rimasto attaccato alla benna e quindi all'interno della camera di cottura non è giunto materiale a sufficienza per l'analisi.
Ora si deve fare ancora esperienza per riuscire a caricare il TEGA con questo materiale attaccaticcio: si dovrà capire in che modo interagisce con la raspa, con la benna e la griglia d'accesso al forno, senza contare che occorre capire se è meglio raccoglierlo in pieno Sole o in ombra.
Nel frattempo si effettuerà una nuova analisi del terreno secco.
Nell'immagine si vede l'interno della benna di raccolta con la maggior parte dell'ultimo campione attaccato sul fondo.
Ora si deve fare ancora esperienza per riuscire a caricare il TEGA con questo materiale attaccaticcio: si dovrà capire in che modo interagisce con la raspa, con la benna e la griglia d'accesso al forno, senza contare che occorre capire se è meglio raccoglierlo in pieno Sole o in ombra.
Nel frattempo si effettuerà una nuova analisi del terreno secco.
Nell'immagine si vede l'interno della benna di raccolta con la maggior parte dell'ultimo campione attaccato sul fondo.
domenica 27 luglio 2008
Lanciato un satellite militare.
Un vettore Soyuz 2-1b ha trasportato in orbita dal Cosmodromo di Plesetsk un carico militare classificato. È stato lanciato dall’Esercito Russo e dovrebbe trattarsi di un satellite da ricognizione.
È stata utilizzata la versione modernizzata del missile Soyuz, appunto la 2-1b che venne lanciata per la prima volta nel 2006 da Baikonur. Ha dei sistemi di controllo digitale avanzati e un terzo stadio più potente per ottenere maggiori prestazioni.
Il satellite è partito alle 20:31 italiane di sabato 26 luglio ed ha raggiunto la sua posizione orbitale dopo circa nove minuti dal lancio. Dovrebbe far parte di un nuovo sistema di controllo orbitale denominato “Persona” che utilizza sistemi avanzati di rilevamento di immagini con una vita stimata di oltre sette anni. Per mantenere la nomenclatura standard russa per i satelliti, è stato rinominato Kosmos 2441.
È stato il trentasettesimo lancio dell’anno e il quarto da Plesetsk.
È stata utilizzata la versione modernizzata del missile Soyuz, appunto la 2-1b che venne lanciata per la prima volta nel 2006 da Baikonur. Ha dei sistemi di controllo digitale avanzati e un terzo stadio più potente per ottenere maggiori prestazioni.
Il satellite è partito alle 20:31 italiane di sabato 26 luglio ed ha raggiunto la sua posizione orbitale dopo circa nove minuti dal lancio. Dovrebbe far parte di un nuovo sistema di controllo orbitale denominato “Persona” che utilizza sistemi avanzati di rilevamento di immagini con una vita stimata di oltre sette anni. Per mantenere la nomenclatura standard russa per i satelliti, è stato rinominato Kosmos 2441.
È stato il trentasettesimo lancio dell’anno e il quarto da Plesetsk.
Phoenix – Sol 61.
Sono state studiate delle modifiche all’operazione di caricamento del campione nel TEGA.
Non si azionerà più la raspa per lunghi periodi durante la raccolta del materiale per evitare ogni surriscaldamento del campione e invece la si azionerà più e più volte per lo scaricamento in modo da aiutare la discesa del terreno nel fornetto con le vibrazioni.
Le immagini giunte nella mattinata del Sol 61 hanno mostrato che il terreno che era rimasto attaccato alla pala (che è stata lasciata capovolta) è caduto tutto sul lander, quindi la benna è vuota e siamo nuovamente nella situazione ottimale per iniziare la raccolta.
Non si azionerà più la raspa per lunghi periodi durante la raccolta del materiale per evitare ogni surriscaldamento del campione e invece la si azionerà più e più volte per lo scaricamento in modo da aiutare la discesa del terreno nel fornetto con le vibrazioni.
Le immagini giunte nella mattinata del Sol 61 hanno mostrato che il terreno che era rimasto attaccato alla pala (che è stata lasciata capovolta) è caduto tutto sul lander, quindi la benna è vuota e siamo nuovamente nella situazione ottimale per iniziare la raccolta.
sabato 26 luglio 2008
Phoenix – Sol 60.
Tutta la procedura è andata benissimo, dopo aver scavato 16 buchi con la raspa rotante, la pala ha caricato ben 3 centimetri cubi di materiale e lo ha trasportato fin sopra al TEGA aperto.
Al momento di scaricare è stato anche avviato il motore della raspa per aiutare lo spargimento del materiale con le vibrazioni, ma purtroppo una buona parte è rimasta attaccata alla benna e si è successivamente sparso sul lander.
“Solo una piccola parte di suolo congelato è entrata nel forno”, ha detto Barry Goldstein, project manager della missione dal Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. “Ci siamo accorti che buona parte del materiale raccolto ha aderito al fondo della pala e non ha raggiunto la cella prevista”.
Ogni forno ha la bocca di carico di 10 cm di lunghezza per 3 di larghezza, ma all’interno, il forno vero e proprio ha circa le dimensioni del serbatoio d’inchiostro di una penna a sfera. Non essendo stato raggiunto il livello di materiale sufficiente per l’analisi, l’imboccatura del forno è rimasta aperta.
Goldstein ha inoltre aggiunto: ”La buona notizia è che il TEGA ha funzionato alla perfezione e quindi abbiamo altre possibilità di caricare il campione per le analisi”. Infatti il temuto corto circuito sulle linee di alimentazione non si è verificato, nonostante il ripetuto azionamento della vibrazione.
Ora occorre eseguire un’analisi visiva completa della zona del TEGA per verificare dove si è distribuito il materiale e studiare una nuova strategia di scarico dei campioni.
In foto: la benna del braccio robotico ha scaricato il campione di suolo sul forno, ma il materiale si è sparso sulle strutture del lander più di quanto fosse previsto.
Al momento di scaricare è stato anche avviato il motore della raspa per aiutare lo spargimento del materiale con le vibrazioni, ma purtroppo una buona parte è rimasta attaccata alla benna e si è successivamente sparso sul lander.
“Solo una piccola parte di suolo congelato è entrata nel forno”, ha detto Barry Goldstein, project manager della missione dal Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. “Ci siamo accorti che buona parte del materiale raccolto ha aderito al fondo della pala e non ha raggiunto la cella prevista”.
Ogni forno ha la bocca di carico di 10 cm di lunghezza per 3 di larghezza, ma all’interno, il forno vero e proprio ha circa le dimensioni del serbatoio d’inchiostro di una penna a sfera. Non essendo stato raggiunto il livello di materiale sufficiente per l’analisi, l’imboccatura del forno è rimasta aperta.
Goldstein ha inoltre aggiunto: ”La buona notizia è che il TEGA ha funzionato alla perfezione e quindi abbiamo altre possibilità di caricare il campione per le analisi”. Infatti il temuto corto circuito sulle linee di alimentazione non si è verificato, nonostante il ripetuto azionamento della vibrazione.
Ora occorre eseguire un’analisi visiva completa della zona del TEGA per verificare dove si è distribuito il materiale e studiare una nuova strategia di scarico dei campioni.
In foto: la benna del braccio robotico ha scaricato il campione di suolo sul forno, ma il materiale si è sparso sulle strutture del lander più di quanto fosse previsto.
venerdì 25 luglio 2008
Phoenix – Sol 59.
Completate tutte le preparazioni alla raccolta decisiva: pala vuota, sportelli aperti e forno spurgato.
Adesso non resta altro da fare che raschiare il ghiaccio, raccoglierlo ed inserirlo nel forno.
In foto un primo piano della griglia posta all’imboccatura del forno per impedire l’ingresso nel TEGA di pezzi troppo grandi.
Le condizioni meteo per il Sol 51 sono state: Tmax = -29°C, Tmin = -78°C, Pressione = 7,99 mBar, cielo sereno e aria pulita.
Da notare che la pressione atmosferica sta progressivamente e lentamente scendendo.
Adesso non resta altro da fare che raschiare il ghiaccio, raccoglierlo ed inserirlo nel forno.
In foto un primo piano della griglia posta all’imboccatura del forno per impedire l’ingresso nel TEGA di pezzi troppo grandi.
Le condizioni meteo per il Sol 51 sono state: Tmax = -29°C, Tmin = -78°C, Pressione = 7,99 mBar, cielo sereno e aria pulita.
Da notare che la pressione atmosferica sta progressivamente e lentamente scendendo.
Phoenix – Sol 58.
La preparazione è ormai giunta al termine. Il punto di scavo è pronto. La raspa è in piena efficienza. La benna del braccio robotico è completamente vuota e per esserne sicuri è stata eseguita due volte la sequenza di movimenti che svuotano anche il passaggio fra la parte anteriore e posteriore della pala. Anche il forno ha già subito un preriscaldamento per eliminare ogni traccia di inquinante esterno che potrebbe falsare le letture. Il gruppo di forni del TEGA è stato scaldato diverse volte, a cominciare dai primi momenti successivi al lancio, quando si è iniziata una procedura per espellere, grazie all’alta temperatura, ogni residuo gassoso, compresa l’anidride carbonica che tende ad aderire alle superfici dure.
Stanotte ci sarà un’ultima scaldata prima del carico del campione.
Fra le varie operazioni da eseguire, devono ancora essere testati i 15 filtri ottici della Surface Stereo Imager che, oltre a permettere la fotografia a colori grazie ai 3 filtri R, G e B, permettono una vasta serie di indagini grazie ad immagini riprese fra l’infrarosso e l’ultravioletto per rilevare particolari caratteristiche geologiche o atmosferiche.
Stanotte ci sarà un’ultima scaldata prima del carico del campione.
Fra le varie operazioni da eseguire, devono ancora essere testati i 15 filtri ottici della Surface Stereo Imager che, oltre a permettere la fotografia a colori grazie ai 3 filtri R, G e B, permettono una vasta serie di indagini grazie ad immagini riprese fra l’infrarosso e l’ultravioletto per rilevare particolari caratteristiche geologiche o atmosferiche.
mercoledì 23 luglio 2008
Phoenix – Sol 57.
Lo studio del terreno raschiato dalla pala di Phoenix sta dando indicazioni anche sul comportamento del ghiaccio nascosto sottoterra. Appena eseguita la raspatura si nota il ghiaccio mescolato con il terriccio, ma in modo piuttosto rapido si nota uno scurimento di questa mistura che corrisponde alla sublimazione del ghiaccio stesso.
“Stiamo verificando i cambiamenti fra le varie raschiature”, ha detto Doug Ming del Johnson Space Center di Houston, responsabile di questa fase della raccolta. “E vogliamo capire cosa succede al terreno prima di procedere con la raccolta che entrerà nel forno”.
Il TEGA ha completato un controllo che verrà esteso domani ad altri strumenti e alla verifica dei riscaldatori per assicurarsi che funzionino a dovere anche nella gelida mattinata marziana.
“Il prossimo campione entrerà nello strumento molto presto alla mattina”, ha detto William Boynton della University of Arizona. “Sarà il momento più freddo della giornata per essere sicuri di prendere il campione freddo e inserirlo nel forno da freddo”. Il Sol in cui si eseguirà il prelievo si prevede di iniziare le attività tre ore prima del solito orario delle 9 di mattina, ora marziana locale.
Si deve anche iniziare un controllo sistematico dell’orizzonte nordoccidentale alla ricerca dei “dust devil”, i mulinelli che si generano nell’atmosfera marziana, che sono già stati fotografati dal rover Spirit. Questo compito eseguito dal Surface Stereo Imager sarà seguito dagli studenti provenienti dalla Boulder Creek High School di Anthem, in Arizona in collaborazione con altri provenienti dalla SciTech High School di San Diego. Questo è un progetto di collaborazione del centro NASA Phoenix Science Operations Center di Tucson che porterà a toccare con mano la ricerca spaziale a studenti di 12 scuole provenienti dagli stati dell’Arizona, Arkansas, California, Iowa, Massachusetts, New Hampshire, Pennsylvania e Texas durante tutta l’estate.
Nell’immagine un montaggio di molti fotogrammi che rappresenta la sequenza di posizioni che assume il Sole verso nord durante il passaggio del “Sole di Mezzanotte”. È un arco concavo verso l’alto che, sol per sol, tende ad abbassarsi sempre di più fino a quando ci sarà il passaggio al disotto dell’orizzonte e la fine dell’estate nell’emisfero nord del Pianeta Rosso.
Per contro durante l’inverno rimarrà notte per lunghi mesi.
“Stiamo verificando i cambiamenti fra le varie raschiature”, ha detto Doug Ming del Johnson Space Center di Houston, responsabile di questa fase della raccolta. “E vogliamo capire cosa succede al terreno prima di procedere con la raccolta che entrerà nel forno”.
Il TEGA ha completato un controllo che verrà esteso domani ad altri strumenti e alla verifica dei riscaldatori per assicurarsi che funzionino a dovere anche nella gelida mattinata marziana.
“Il prossimo campione entrerà nello strumento molto presto alla mattina”, ha detto William Boynton della University of Arizona. “Sarà il momento più freddo della giornata per essere sicuri di prendere il campione freddo e inserirlo nel forno da freddo”. Il Sol in cui si eseguirà il prelievo si prevede di iniziare le attività tre ore prima del solito orario delle 9 di mattina, ora marziana locale.
Si deve anche iniziare un controllo sistematico dell’orizzonte nordoccidentale alla ricerca dei “dust devil”, i mulinelli che si generano nell’atmosfera marziana, che sono già stati fotografati dal rover Spirit. Questo compito eseguito dal Surface Stereo Imager sarà seguito dagli studenti provenienti dalla Boulder Creek High School di Anthem, in Arizona in collaborazione con altri provenienti dalla SciTech High School di San Diego. Questo è un progetto di collaborazione del centro NASA Phoenix Science Operations Center di Tucson che porterà a toccare con mano la ricerca spaziale a studenti di 12 scuole provenienti dagli stati dell’Arizona, Arkansas, California, Iowa, Massachusetts, New Hampshire, Pennsylvania e Texas durante tutta l’estate.
Nell’immagine un montaggio di molti fotogrammi che rappresenta la sequenza di posizioni che assume il Sole verso nord durante il passaggio del “Sole di Mezzanotte”. È un arco concavo verso l’alto che, sol per sol, tende ad abbassarsi sempre di più fino a quando ci sarà il passaggio al disotto dell’orizzonte e la fine dell’estate nell’emisfero nord del Pianeta Rosso.
Per contro durante l’inverno rimarrà notte per lunghi mesi.
Makemake nuovo oggetto plutoide.
La International Astronomical Union (IAU) ha assegnato il nome di Makemake a 2005 FY9, il quarto pianeta nano del Sistema Solare.
Il nome deriva dal Dio Polinesiano creatore del genere umano e Dio della Fertilità.
Il Committee on Small Body Nomenclature (CSBN) e il Working Group for Planetary System Nomenclature (WGPSN) hanno stabilito che Makemake è il quarto pianeta nano e terzo membro del gruppo dei Plutoidi.
Makemake (pronunciato machi-machi) è uno dei più grandi oggetti del Sistema Solare esterno ed è appena più piccolo e meno luminoso di Plutone.
Il colore dominante è rossastro e gli astronomi suppongono che la superficie sia ricoperta di metano ghiacciato. È posizionato oltre l’orbita di Nettuno e come gli altri oggetti presenti in quella zona viene anche definito transnettuniano.
È stato scoperto nel 2005 da un team del California Institute of Technology condotto da Mike Brown. Per questo motivo il suo primo nome era 2005 FY9 ed ottenne anche una designazione da parte del Minor Planet Center della IAU, il codice 136472.
Normalmente lo scopritore di un nuovo oggetto del Sistema Solare ha il privilegio di poterne scegliere il nome. Mike Brown ha detto: "Solitamente prendiamo in seria considerazione il nome da assegnare ad un nuovo oggetto, ma le caratteristiche di Makemake non ci ricordavano nessun nome particolare. Il primo nome assegnato, “EasterBunny” (coniglio pasquale - dato che venne scoperto poco prima di Pasqua) non era propriamente un nome che potesse accompagnarsi a tutti gli altri componenti del Sistema Solare, che sono riferiti alle mitologie. Si pensò quindi a Rapa Nui, l’Isola di Pasqua, e grazie al fatto che mia moglie era incinta di mia figlia, venne scelto il nome Makemake, il Dio della Fertilità e creatore dell’umanità per quel popolo ormai scomparso”.
Makemake insieme ad Eris e 2003 EL61 hanno il merito di aver spinto la comunità internazionale a creare una nuova classe di oggetti, i plutoidi, che comprendono anche il prototipo, appunto Plutone. Nei pianeti nani è compreso anche Cerere, che però essendo nella cintura di asteroidi fra Marte e Giove non fa parte dei transnettuniani e quindi dei plutoidi.
Visivamente ha una magnitudine di +16,5, grazie anche alla sua buona albedo (riflessione della luce) e alle sue dimensioni, equivalenti almeno ai 2/3 di Plutone.
Nell’immagine una rappresentazione artistica di Makemake, una sfera liscia color ruggine con pochi crateri, sospesa nello scuro spazio del Sistema Solare esterno. (Ann Feild - Space Telescope Science Institute).
Il nome deriva dal Dio Polinesiano creatore del genere umano e Dio della Fertilità.
Il Committee on Small Body Nomenclature (CSBN) e il Working Group for Planetary System Nomenclature (WGPSN) hanno stabilito che Makemake è il quarto pianeta nano e terzo membro del gruppo dei Plutoidi.
Makemake (pronunciato machi-machi) è uno dei più grandi oggetti del Sistema Solare esterno ed è appena più piccolo e meno luminoso di Plutone.
Il colore dominante è rossastro e gli astronomi suppongono che la superficie sia ricoperta di metano ghiacciato. È posizionato oltre l’orbita di Nettuno e come gli altri oggetti presenti in quella zona viene anche definito transnettuniano.
È stato scoperto nel 2005 da un team del California Institute of Technology condotto da Mike Brown. Per questo motivo il suo primo nome era 2005 FY9 ed ottenne anche una designazione da parte del Minor Planet Center della IAU, il codice 136472.
Normalmente lo scopritore di un nuovo oggetto del Sistema Solare ha il privilegio di poterne scegliere il nome. Mike Brown ha detto: "Solitamente prendiamo in seria considerazione il nome da assegnare ad un nuovo oggetto, ma le caratteristiche di Makemake non ci ricordavano nessun nome particolare. Il primo nome assegnato, “EasterBunny” (coniglio pasquale - dato che venne scoperto poco prima di Pasqua) non era propriamente un nome che potesse accompagnarsi a tutti gli altri componenti del Sistema Solare, che sono riferiti alle mitologie. Si pensò quindi a Rapa Nui, l’Isola di Pasqua, e grazie al fatto che mia moglie era incinta di mia figlia, venne scelto il nome Makemake, il Dio della Fertilità e creatore dell’umanità per quel popolo ormai scomparso”.
Makemake insieme ad Eris e 2003 EL61 hanno il merito di aver spinto la comunità internazionale a creare una nuova classe di oggetti, i plutoidi, che comprendono anche il prototipo, appunto Plutone. Nei pianeti nani è compreso anche Cerere, che però essendo nella cintura di asteroidi fra Marte e Giove non fa parte dei transnettuniani e quindi dei plutoidi.
Visivamente ha una magnitudine di +16,5, grazie anche alla sua buona albedo (riflessione della luce) e alle sue dimensioni, equivalenti almeno ai 2/3 di Plutone.
Nell’immagine una rappresentazione artistica di Makemake, una sfera liscia color ruggine con pochi crateri, sospesa nello scuro spazio del Sistema Solare esterno. (Ann Feild - Space Telescope Science Institute).
Phoenix – Sol 56.
Il Governatore dell’Arizona ha visitato il Mission Science Operations Center presso la University of Arizona.
Janet Napolitano è stata invitata da Peter Smith, responsabile delle indagini di Phoenix, ad assistere ad una demo delle immagini giunte dalla sonda sia in 2D che in 3D proiettate su cinque schermi combinati che creavano immagini larghe oltre 20 metri e alte quasi quattro. Queste immagini hanno fatto una grande impressione sul Governatore. “Penso che abbia avuto una esperienza fuori-dal-mondo!”, ha detto Smith.
Napolitano era già stata al Mission Operation Center a febbraio, ma questa è stata la prima volta da quando Phoenix si è posata sul Pianeta Rosso.
Nell'immagine il Governatore di fronte all'enorme schermo che indossa gli occhialini per la visione stereoscopica.
Janet Napolitano è stata invitata da Peter Smith, responsabile delle indagini di Phoenix, ad assistere ad una demo delle immagini giunte dalla sonda sia in 2D che in 3D proiettate su cinque schermi combinati che creavano immagini larghe oltre 20 metri e alte quasi quattro. Queste immagini hanno fatto una grande impressione sul Governatore. “Penso che abbia avuto una esperienza fuori-dal-mondo!”, ha detto Smith.
Napolitano era già stata al Mission Operation Center a febbraio, ma questa è stata la prima volta da quando Phoenix si è posata sul Pianeta Rosso.
Nell'immagine il Governatore di fronte all'enorme schermo che indossa gli occhialini per la visione stereoscopica.
martedì 22 luglio 2008
Phoenix – Sol 55.
La sonda ha completato la più lunga sequenza di operazioni mai eseguita. Ha lavorato ininterrottamente per 33 ore eseguendo sia lavori di scavo e raspatura che osservazioni atmosferiche congiunte alla sonda orbitante Mars Reconnaissance Orbiter.
“Questo nostro test di raschiatura ci ha dato sufficiente confidenza che ci permette di partire con il previsto prelievo per l’inserimento nel forno del TEGA”, ha detto Barry Goldstein che è Phoenix project manager al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. Finalmente esporremo il terreno ghiacciato alle alte temperature del Thermal and Evolved-Gas Analyzer che studierà la composizione del campione.
La preparazione dell’interno dello scavo chiamato "Snow White" comporterà almeno 80 raschiature del fondo per scoprire materiale fresco da analizzare.
“Questo nostro test di raschiatura ci ha dato sufficiente confidenza che ci permette di partire con il previsto prelievo per l’inserimento nel forno del TEGA”, ha detto Barry Goldstein che è Phoenix project manager al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. Finalmente esporremo il terreno ghiacciato alle alte temperature del Thermal and Evolved-Gas Analyzer che studierà la composizione del campione.
La preparazione dell’interno dello scavo chiamato "Snow White" comporterà almeno 80 raschiature del fondo per scoprire materiale fresco da analizzare.
Completata la costellazione SAR-Lupe.
È stato lanciato questa mattina 22 luglio, alle 4:40 ora italiana, un vettore russo Kosmos 3M che in circa mezz’ora ha portato in orbita a 500 km di quota un satellite militare tedesco, il quinto ed ultimo della serie SAR-Lupe, progettato per il controllo del territorio.
SAR è l’acronimo di Sintetic Aperture Radar, mentre Lupe è il termine tedesco che identifica la lente d’ingrandimento: questi cinque satelliti del peso di 770kg, utilizzano il Radar ad Apertura Sintetica sviluppato e costruito dalla Thales Alenia Space e possono effettuare riprese con una definizione di 50cm anche di notte e con qualsiasi condizione meteo “spazzolando” strisce di terreno larghe da 5,5 a 60 km. Sono distribuiti su tre piani orbitali per coprire tutta la superficie planetaria.
Il sistema è sviluppato dalla OHB-System AG con Centro di Controllo alla Nachrichtenwesen der Bundeswehr (ZNBw) di Gelsdorf in Germania ed è stato lanciato dal Cosmodromo di Plesetsk, nella Russia settentrionale.
L’esercito tedesco prenderà il controllo del sistema a dicembre e lo utilizzerà almeno per i prossimi dieci anni. I cinque SAR-Lupe entrano nell’accordo franco-tedesco che comprende uno scambio di informazioni fra le due nazioni. I dati provenienti da questa costellazione verranno dati alla Francia che ricambierà con le informazioni provenienti dalla loro rete Helios per sorveglianza ottica e infrarossa. Nel 2002 era stato offerto anche ad altre nazioni di entrare nell’accordo e pare che fosse interessata anche l’Italia.
Nell'immagine una ricostruzione artistica dei satelliti SAR-Lupe con le loro antenne di tre metri di diametro rivolte verso Terra.
Immagine: OHB-System AG.
SAR è l’acronimo di Sintetic Aperture Radar, mentre Lupe è il termine tedesco che identifica la lente d’ingrandimento: questi cinque satelliti del peso di 770kg, utilizzano il Radar ad Apertura Sintetica sviluppato e costruito dalla Thales Alenia Space e possono effettuare riprese con una definizione di 50cm anche di notte e con qualsiasi condizione meteo “spazzolando” strisce di terreno larghe da 5,5 a 60 km. Sono distribuiti su tre piani orbitali per coprire tutta la superficie planetaria.
Il sistema è sviluppato dalla OHB-System AG con Centro di Controllo alla Nachrichtenwesen der Bundeswehr (ZNBw) di Gelsdorf in Germania ed è stato lanciato dal Cosmodromo di Plesetsk, nella Russia settentrionale.
L’esercito tedesco prenderà il controllo del sistema a dicembre e lo utilizzerà almeno per i prossimi dieci anni. I cinque SAR-Lupe entrano nell’accordo franco-tedesco che comprende uno scambio di informazioni fra le due nazioni. I dati provenienti da questa costellazione verranno dati alla Francia che ricambierà con le informazioni provenienti dalla loro rete Helios per sorveglianza ottica e infrarossa. Nel 2002 era stato offerto anche ad altre nazioni di entrare nell’accordo e pare che fosse interessata anche l’Italia.
Nell'immagine una ricostruzione artistica dei satelliti SAR-Lupe con le loro antenne di tre metri di diametro rivolte verso Terra.
Immagine: OHB-System AG.
lunedì 21 luglio 2008
Phoenix - Sol 54.
È stata elaborata una procedura secondo cui la sonda dovrebbe continuare a funzionare per tutta la notte marziana. In particolare resteranno attivi la stazione meteorologica, la stereo camera e la sonda di conduttività.
Si potrà così creare un grafico dell’umidità superficiale del terreno grazie alla sonda che sarà inserita per oltre ventiquattro ore e stabilire una correlazione fra le misurazioni al suolo e quelle orbitali eseguite dal Mars Reconnaissance Orbiter.
"Stiamo cercando schemi di movimento e cambiamenti di fase", ha detto Michael Hecht, capo ricercatore della sonda di conducibilità. "La sonda sta rispondendo bene. Abbiamo visto delle piccole variazioni nelle proprietà elettriche del suolo che possono essere ricondotte all’acqua. Comunque i dati sono ancora in elaborazione."
Si potrà così creare un grafico dell’umidità superficiale del terreno grazie alla sonda che sarà inserita per oltre ventiquattro ore e stabilire una correlazione fra le misurazioni al suolo e quelle orbitali eseguite dal Mars Reconnaissance Orbiter.
"Stiamo cercando schemi di movimento e cambiamenti di fase", ha detto Michael Hecht, capo ricercatore della sonda di conducibilità. "La sonda sta rispondendo bene. Abbiamo visto delle piccole variazioni nelle proprietà elettriche del suolo che possono essere ricondotte all’acqua. Comunque i dati sono ancora in elaborazione."
domenica 20 luglio 2008
Phoenix - Sol 53.
La sonda ha aperto il terzo forno del TEGA (quello siglato #0) e per la prima volta gli sportelli si sono aperti completamente. In questo modo si avranno molte probabilità di riuscire a inserire nel forno di cottura la quantità necessaria di suolo congelato. A meno che non ci siano dei grumi che impediscono al campione di attraversare il setaccio che copre l'imboccatura del forno.
In foto il fornetto con gli sportelli spalancati.
In foto il fornetto con gli sportelli spalancati.
39 anni fa. La Luna.
20 luglio 1969
20:17:40 UTC
"Houston: Tranquility base here.
The Eagle has landed."
"Houston, qui base della Tranquillità.
L'Aquila è atterrata."
21 luglio 1969
2:56:15 UTC
Neil Armstrong Tocca il suolo lunare.
"Here Men From Planet Earth
First Set Foot Upon the Moon
July 1969 A.D.
We Came in Peace For All Mankind".
"Qui gli Uomini del Pianeta Terra
hanno Posato i Piedi sulla Luna per la Prima Volta
Luglio 1969 Anno Domini.
Veniamo in Pace per Tutto il Genere Umano."
La foto mostra Buzz Aldrin sulla Luna fotografato da Neil Armstrong, la cui immagine si riflette nella visiera a specchio di Aldrin.
20:17:40 UTC
"Houston: Tranquility base here.
The Eagle has landed."
"Houston, qui base della Tranquillità.
L'Aquila è atterrata."
21 luglio 1969
2:56:15 UTC
Neil Armstrong Tocca il suolo lunare.
"Here Men From Planet Earth
First Set Foot Upon the Moon
July 1969 A.D.
We Came in Peace For All Mankind".
"Qui gli Uomini del Pianeta Terra
hanno Posato i Piedi sulla Luna per la Prima Volta
Luglio 1969 Anno Domini.
Veniamo in Pace per Tutto il Genere Umano."
La foto mostra Buzz Aldrin sulla Luna fotografato da Neil Armstrong, la cui immagine si riflette nella visiera a specchio di Aldrin.
sabato 19 luglio 2008
Mars Express verso Phobos.
Mars Express, la sonda europea in orbita intorno a Marte, sta eseguendo una serie di passaggi ravvicinati con Phobos. Il punto più vicino alla piccola luna di Marte lo raggiungerà il 23 luglio quando passerà a soli 97 km dalla superficie del satellite. In quell’occasione tutti gli strumenti saranno puntati su Phobos per rilevare la maggior quantità possibile di dati.
In effetti Marte è sempre più conosciuto, ma non le sue due lune. Per esempio occorre ancora stabilire se sono due asteroidi provenienti dalla fascia che si estende fino a Giove e catturati dal pianeta o se derivano da enormi impatti sul pianeta rosso.
Durante il volo radente verranno anche eseguite delle riprese fotografiche con la High-Resolution Stereo Camera (HRSC - Germania) che mostrerà in dettaglio l’aspetto del satellite ripreso in 3D, soprattutto in vista dell’arrivo della missione russa Phobos-Grunt che dovrà rilasciare un lander che atterrerà sulla piccola luna. Questa missione partirà da Terra nel 2009.
E iniziando dalla topografia, ogni parte di Phobos verrà studiata grazie a tutta la serie di strumenti di Mars Express: il Visible and Infrared Mineralogical Mapping Spectrometer (OMEGA - Francia), il Planetary Fourier Spectrometer (PFS - Italia), l’Ultraviolet and Infrared Atmospheric Spectrometer (SPICAM - Francia), il Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding (MARSIS - Italia) e l’Energetic Neutral Atoms Analyser (ASPERA - Svezia) inonderanno il controllo missione di preziosissimi dati.
Questi i passaggi radenti:
Data - Quota
12 Luglio - 563 km
17 Luglio - 273 km
23 Luglio -- 97 km
28 Luglio - 361 km
3 Agosto - 664 km
Foto: ESA.
In effetti Marte è sempre più conosciuto, ma non le sue due lune. Per esempio occorre ancora stabilire se sono due asteroidi provenienti dalla fascia che si estende fino a Giove e catturati dal pianeta o se derivano da enormi impatti sul pianeta rosso.
Durante il volo radente verranno anche eseguite delle riprese fotografiche con la High-Resolution Stereo Camera (HRSC - Germania) che mostrerà in dettaglio l’aspetto del satellite ripreso in 3D, soprattutto in vista dell’arrivo della missione russa Phobos-Grunt che dovrà rilasciare un lander che atterrerà sulla piccola luna. Questa missione partirà da Terra nel 2009.
E iniziando dalla topografia, ogni parte di Phobos verrà studiata grazie a tutta la serie di strumenti di Mars Express: il Visible and Infrared Mineralogical Mapping Spectrometer (OMEGA - Francia), il Planetary Fourier Spectrometer (PFS - Italia), l’Ultraviolet and Infrared Atmospheric Spectrometer (SPICAM - Francia), il Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding (MARSIS - Italia) e l’Energetic Neutral Atoms Analyser (ASPERA - Svezia) inonderanno il controllo missione di preziosissimi dati.
Questi i passaggi radenti:
Data - Quota
12 Luglio - 563 km
17 Luglio - 273 km
23 Luglio -- 97 km
28 Luglio - 361 km
3 Agosto - 664 km
Foto: ESA.
venerdì 18 luglio 2008
Phoenix – Sol 52.
Il compito odierno per la raspa elettrica è quello di raccogliere ancora più materiale di quanto già fatto.
“Prima di tutto raschieremo il terreno con la benna per scoprire del nuovo materiale pronto da raccogliere”, ha detto Richard Volpe del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, ingegnere del team di controllo del braccio robotico. “Come secondo passo verrà eseguita la raspatura vera e propria, operazione che inizia a introdurre del materiale nella pala: stavolta faremo 4 fori in fila anche per ottimizzare la terza fase che consiste nel ripassare con la benna per raccogliere la maggior quantità possibile di materiale smosso”.
A questo punto il campione prelevato verrà tenuto sotto osservazione con la Robotic Arm Camera per almeno sette ore per controllarne il comportamento restando esposto all’atmosfera marziana. Ovviamente questo serve per capire quanto si debba essere veloci nel caricare il forno del TEGA.
“Prima di tutto raschieremo il terreno con la benna per scoprire del nuovo materiale pronto da raccogliere”, ha detto Richard Volpe del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, ingegnere del team di controllo del braccio robotico. “Come secondo passo verrà eseguita la raspatura vera e propria, operazione che inizia a introdurre del materiale nella pala: stavolta faremo 4 fori in fila anche per ottimizzare la terza fase che consiste nel ripassare con la benna per raccogliere la maggior quantità possibile di materiale smosso”.
A questo punto il campione prelevato verrà tenuto sotto osservazione con la Robotic Arm Camera per almeno sette ore per controllarne il comportamento restando esposto all’atmosfera marziana. Ovviamente questo serve per capire quanto si debba essere veloci nel caricare il forno del TEGA.
Fiumi su Marte.
Questa foto a falsi colori è spettacolare.
Mars Reconaissance Orbiter ha fotografato quello che un tempo era il delta di un fiume e dovrebbe risalire al periodo Noachiano, da 4,6 a 3,8 miliardi di anni fa.
Il corso d'acqua si gettava nel lago che era contenuto nel cratere Jezero ed ha trasportato materiale alluvionale per un tempo molto lungo, almeno alcune migliaia di anni, infatti si notano tutti i vari rivoli d'acqua che si distribuivano lungo la costa. Il lago doveva essere di circa 40 km di diametro.
Se dovessimo cercare dei fossili su Marte, penso proprio che quel luogo sia uno dei più indicati: un delta fluviale deposita quantità incredibili di sedimenti dentro i quali possono trovarsi tutti i fossili che cerchiamo.
A patto che la vita ci sia stata.
Mars Reconaissance Orbiter ha fotografato quello che un tempo era il delta di un fiume e dovrebbe risalire al periodo Noachiano, da 4,6 a 3,8 miliardi di anni fa.
Il corso d'acqua si gettava nel lago che era contenuto nel cratere Jezero ed ha trasportato materiale alluvionale per un tempo molto lungo, almeno alcune migliaia di anni, infatti si notano tutti i vari rivoli d'acqua che si distribuivano lungo la costa. Il lago doveva essere di circa 40 km di diametro.
Se dovessimo cercare dei fossili su Marte, penso proprio che quel luogo sia uno dei più indicati: un delta fluviale deposita quantità incredibili di sedimenti dentro i quali possono trovarsi tutti i fossili che cerchiamo.
A patto che la vita ci sia stata.
giovedì 17 luglio 2008
Phoenix - Sol 51.
Oggi è stata rilasciata una serie di quattordici immagini stereoscopiche da guardare con gli occhiali per anaglifi, quelli con lenti rossa e blu. Le trovate a questa pagina.
mercoledì 16 luglio 2008
Phoenix - Sol 50.
La raspa elettrica ha compiuto il suo lavoro: ha scavato nel terreno marziano ed ha raccolto il materiale all’interno della pala.
Le immagini e i dati inviati a Terra dalla sonda indicano che il materiale nella pala ha subito dei leggeri cambiamenti nel corso delle ore.
La raspa ha eseguito due piccoli buchi nello strato gelato del fondo di “Snow White”, lo scavo più grande e lo ha inserito nella benna.
Questo test per collaudare il sistema di raspatura prepara il team per la prova definitiva con l’inserimento nel TEGA.
“Questo tentativo è andato molto bene”, ha detto Richard Morris scienziato del team del Johnson Space Center di Houston. “Dato che il ghiaccio ha impiegato diverse ore per sublimare, ci sono buone probabilità che ce ne sia ancora quando inseriremo il campione nel TEGA”.
Le prossime attività riguarderanno la continuazione dei test sulla raspa e l’osservazione visuale con le fotocamere del comportamento dei campioni raccolti.
In foto la freccia indica i primi scavi della raspa.
Durante il Sol 49 abbiamo avuto Tmax.-31°C, Tmin.-78°C e Sole splendente con atmosfera tersa.
Le immagini e i dati inviati a Terra dalla sonda indicano che il materiale nella pala ha subito dei leggeri cambiamenti nel corso delle ore.
La raspa ha eseguito due piccoli buchi nello strato gelato del fondo di “Snow White”, lo scavo più grande e lo ha inserito nella benna.
Questo test per collaudare il sistema di raspatura prepara il team per la prova definitiva con l’inserimento nel TEGA.
“Questo tentativo è andato molto bene”, ha detto Richard Morris scienziato del team del Johnson Space Center di Houston. “Dato che il ghiaccio ha impiegato diverse ore per sublimare, ci sono buone probabilità che ce ne sia ancora quando inseriremo il campione nel TEGA”.
Le prossime attività riguarderanno la continuazione dei test sulla raspa e l’osservazione visuale con le fotocamere del comportamento dei campioni raccolti.
In foto la freccia indica i primi scavi della raspa.
Durante il Sol 49 abbiamo avuto Tmax.-31°C, Tmin.-78°C e Sole splendente con atmosfera tersa.
Lanciato Satellite della DISH Network.
Alle 7:20:59 ora italiana di oggi 16 luglio un vettore Zenith 3SL lasciava la rampa di lancio Odyssey della Sea Launch posizionata in acque equatoriali a circa 2250 km a sud delle isole Hawaii, per portare in orbita il Satellite EchoStar 11 della DISH Network.
Il razzo ucraino aveva montato uno stadio orbitale russo Block DM-SL che è stato rilasciato perfettamente circa otto minuti e mezzo dopo il decollo. Ad una prima accensione di quattordici minuti ed una pausa di mezz’ora è seguita una seconda spinta di sette minuti prima di sganciare il carico pagante di 5511 kg su un’orbita ellittica con apogeo di 35'400 km. A quel punto la missione era terminata e il veicolo si trovava sopra l’Oceano Indiano.
“Che lancio eccezionale”, ha detto Kjell Karlsen, il nuovo presidente della Sea Launch. “È il mio primo lancio da presidente, ho ancora le ginocchia che tremano”.
Il satellite ha poi utilizzato il suo motore per circolarizzare l’orbita e posizionarsi nella ubicazione definitiva, a 110° ovest, da cui lavorerà per i prossimi 15 anni.
L’Echostar 11 ha una potenza di 20kW ed è stato costruito dalla Space Systems/Loral di Palo Alto in California. Ha a bordo una serie di transponder in banda Ku per trasmissioni televisive.
“Alla Space Systems/Loral siamo i leader della trasmissione satellitare ad alta potenza e con questo modello diamo slancio alla trasmissione diretta all’utente finale”, ha detto Hampton Chan, direttore esecutivo dei sistemi satellitari avanzati.
La rete DISH ha perso il satellite AMERICOM 14 all’inizio di quest’anno a causa del malfunzionamento di un razzo Proton e quindi c’era un po’ di apprensione per questo lancio.
Questa volta però è andato tutto liscio e la stazione di tracciamento australiana ha preso il controllo del satellite esattamente al momento stabilito. È stata la terza volta che Sea Launch inviava in orbita un satellite EchoStar, dopo l'EchoStar 9 nel 2003 e l'EchoStar 10 nel 2006.
“Siamo fieri di avere un ruolo nel successo di DISH Network, e li ringraziamo per la loro fiducia nei nostri sistemi e nel nostro team”, ha aggiunto Karlsen.
Questo è un anno molto impegnativo per Sea Launch e dopo i 4 lanci già eseguiti ne seguiranno altri due nei prossimi mesi, uno dei quali sarà il Galaxy 19. A questi si aggiungono anche un paio di lanci della sussidiaria Land Launch che utilizza il Cosmodromo di Baikonur.
Foto: Sea Launch.
Il razzo ucraino aveva montato uno stadio orbitale russo Block DM-SL che è stato rilasciato perfettamente circa otto minuti e mezzo dopo il decollo. Ad una prima accensione di quattordici minuti ed una pausa di mezz’ora è seguita una seconda spinta di sette minuti prima di sganciare il carico pagante di 5511 kg su un’orbita ellittica con apogeo di 35'400 km. A quel punto la missione era terminata e il veicolo si trovava sopra l’Oceano Indiano.
“Che lancio eccezionale”, ha detto Kjell Karlsen, il nuovo presidente della Sea Launch. “È il mio primo lancio da presidente, ho ancora le ginocchia che tremano”.
Il satellite ha poi utilizzato il suo motore per circolarizzare l’orbita e posizionarsi nella ubicazione definitiva, a 110° ovest, da cui lavorerà per i prossimi 15 anni.
L’Echostar 11 ha una potenza di 20kW ed è stato costruito dalla Space Systems/Loral di Palo Alto in California. Ha a bordo una serie di transponder in banda Ku per trasmissioni televisive.
“Alla Space Systems/Loral siamo i leader della trasmissione satellitare ad alta potenza e con questo modello diamo slancio alla trasmissione diretta all’utente finale”, ha detto Hampton Chan, direttore esecutivo dei sistemi satellitari avanzati.
La rete DISH ha perso il satellite AMERICOM 14 all’inizio di quest’anno a causa del malfunzionamento di un razzo Proton e quindi c’era un po’ di apprensione per questo lancio.
Questa volta però è andato tutto liscio e la stazione di tracciamento australiana ha preso il controllo del satellite esattamente al momento stabilito. È stata la terza volta che Sea Launch inviava in orbita un satellite EchoStar, dopo l'EchoStar 9 nel 2003 e l'EchoStar 10 nel 2006.
“Siamo fieri di avere un ruolo nel successo di DISH Network, e li ringraziamo per la loro fiducia nei nostri sistemi e nel nostro team”, ha aggiunto Karlsen.
Questo è un anno molto impegnativo per Sea Launch e dopo i 4 lanci già eseguiti ne seguiranno altri due nei prossimi mesi, uno dei quali sarà il Galaxy 19. A questi si aggiungono anche un paio di lanci della sussidiaria Land Launch che utilizza il Cosmodromo di Baikonur.
Foto: Sea Launch.
Phoenix – Sol 49.
La raspa sul retro della pala del braccio robotico sta finalmente per entrare in funzione per la raccolta del ghiaccio su Marte.
Lo spazio nello scavo “Snow White” è finalmente sufficiente per eseguire la prima raccolta con la raspa motorizzata.
Il team di scienziati ed ingegneri a terra stanno preparando una serie di comandi per eseguire tutti i test e finalmente inserire il ghiaccio nei forni del laboratorio di bordo.
“Mentre stavamo sviluppando Phoenix, abbiamo aggiunto la raspa al braccio specificatamente per macinare le superfici dure del ghiaccio”, ha detto Barry Goldstein, manager del progetto al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. “Questa è esattamente la situazione a cui avevamo pensato e quindi dovremmo avere lo strumento giusto per questo lavoro. La Honeybee Robotics di New York City ha fatto un grande lavoro per progettare e preparare la raspa con una tempistica molto stretta”.
La punta della raspa fuoriesce angolata da una apertura nel retro della benna di scavo posta in cima al braccio robotico. Per l’uso, il retro della pala, viene appoggiato sul terreno da erodere e un motore elettrico fa ruotare la raspa in modo continuo. Un altro comando permette di variarne l’inclinazione mentre ruota così che il materiale raschiato possa entrare dall’apertura da cui fuoriesce la punta stessa. Con dei movimenti prestabiliti si porta poi il materiale raccolto nella parte anteriore della pala per inserirlo negli strumenti di analisi. I movimenti sono necessari per superare i setti divisori posti fra la parte anteriore e posteriore, setti necessari per evitare che caricando la benna con il materiale dalla parte anteriore possa uscire da dietro.
I comandi preparati per le attività che Phoenix dovrà eseguire prevedono la raschiatura di due punti, nella parte bassa dello scavo, a circa un centimetro di distanza fra loro. La Surface Stereo Imager Camera e anche la fotocamera del braccio verranno usate per controllare il procedimento e poi per verificare nella pala il comportamento del materiale raschiato per diverse ore.
Per massimizzare la quantità di materiale raccolto si userà il sistema canonico dello spostamento della punta della raspa, ma si raccoglierà anche la parte non caricata “cucchiaiando” la zona raspata. Cose già provate nel testbed della University of Arizona di Tucson.
Durante il Sol 45 la temperatura massima è stata di -31°C, la minima di -80°C, la pressione 8,04mBar, il cielo limpido e senza vento.
Lo spazio nello scavo “Snow White” è finalmente sufficiente per eseguire la prima raccolta con la raspa motorizzata.
Il team di scienziati ed ingegneri a terra stanno preparando una serie di comandi per eseguire tutti i test e finalmente inserire il ghiaccio nei forni del laboratorio di bordo.
“Mentre stavamo sviluppando Phoenix, abbiamo aggiunto la raspa al braccio specificatamente per macinare le superfici dure del ghiaccio”, ha detto Barry Goldstein, manager del progetto al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. “Questa è esattamente la situazione a cui avevamo pensato e quindi dovremmo avere lo strumento giusto per questo lavoro. La Honeybee Robotics di New York City ha fatto un grande lavoro per progettare e preparare la raspa con una tempistica molto stretta”.
La punta della raspa fuoriesce angolata da una apertura nel retro della benna di scavo posta in cima al braccio robotico. Per l’uso, il retro della pala, viene appoggiato sul terreno da erodere e un motore elettrico fa ruotare la raspa in modo continuo. Un altro comando permette di variarne l’inclinazione mentre ruota così che il materiale raschiato possa entrare dall’apertura da cui fuoriesce la punta stessa. Con dei movimenti prestabiliti si porta poi il materiale raccolto nella parte anteriore della pala per inserirlo negli strumenti di analisi. I movimenti sono necessari per superare i setti divisori posti fra la parte anteriore e posteriore, setti necessari per evitare che caricando la benna con il materiale dalla parte anteriore possa uscire da dietro.
I comandi preparati per le attività che Phoenix dovrà eseguire prevedono la raschiatura di due punti, nella parte bassa dello scavo, a circa un centimetro di distanza fra loro. La Surface Stereo Imager Camera e anche la fotocamera del braccio verranno usate per controllare il procedimento e poi per verificare nella pala il comportamento del materiale raschiato per diverse ore.
Per massimizzare la quantità di materiale raccolto si userà il sistema canonico dello spostamento della punta della raspa, ma si raccoglierà anche la parte non caricata “cucchiaiando” la zona raspata. Cose già provate nel testbed della University of Arizona di Tucson.
Durante il Sol 45 la temperatura massima è stata di -31°C, la minima di -80°C, la pressione 8,04mBar, il cielo limpido e senza vento.
martedì 15 luglio 2008
GOCE News.
Mancano ormai solo un paio di mesi al lancio del satellite Gravity field and steady-state Ocean Circulation Explorer (GOCE) ed è stata fissata al prossimo 29 luglio la data del trasferimento dalla sede ESA in Olanda al cosmodromo di Plesetsk nella Russia settentrionale.
La missione partirà il 10 settembre e verrà portata in orbita da un vettore Proton.
Di questa missione molto particolare avevo già parlato qui.
La missione partirà il 10 settembre e verrà portata in orbita da un vettore Proton.
Di questa missione molto particolare avevo già parlato qui.
Attività Extra-Veicolare sulla ISS in corso.
EVA 20 con Volkov e Kononenko fuori dalla ISS nelle tute Orlan e Chamitoff, come per la precedente passeggiata, dentro la Soyuz per ragioni di sicurezza.
I compiti da eseguire sono i seguenti.
- Installazione del bersaglio di allineamento per l’aggancio di un nuovo modulo russo in arrivo l’anno prossimo.
- Preparazione all’installazione di una nuova antenna.
- Installazione di un esperimento russo (Vsplesk).
- Recupero di un altro esperimento (Biorisk).
Ovviamente in diretta su Nasa TV.
AGGIORNAMENTO.
EVA completata alla perfezione in 5 ore e 54 minuti.
I due astronauti hanno ora cumulato 12 ore e 12 minuti di attività extraveicolare.
Non sono previste altre EVA per i componenti della Expedition 17.
I compiti da eseguire sono i seguenti.
- Installazione del bersaglio di allineamento per l’aggancio di un nuovo modulo russo in arrivo l’anno prossimo.
- Preparazione all’installazione di una nuova antenna.
- Installazione di un esperimento russo (Vsplesk).
- Recupero di un altro esperimento (Biorisk).
Ovviamente in diretta su Nasa TV.
AGGIORNAMENTO.
EVA completata alla perfezione in 5 ore e 54 minuti.
I due astronauti hanno ora cumulato 12 ore e 12 minuti di attività extraveicolare.
Non sono previste altre EVA per i componenti della Expedition 17.
Phoenix – Sol 47 e 48.
Il braccio robotico ha appena ricevuto il comando di allungare lo scavo “Snow White” di circa 15 centimetri portandolo dagli attuali 20x30 a 20x45 centimetri. Questo grazie agli esperimenti che sono stati effettuati dal gemello di Phoenix a Tucson che hanno evidenziato una maggiore probabilità di caricare il materiale ghiacciato sfruttando una maggiore lunghezza di raccolta.
“Per ora la parte di ghiaccio scoperta non è abbastanza estesa per eseguire una raccolta sufficiente per il test e per la successiva analisi”, ha detto Ray Arvidson della Washington University di St. Louis, soprannominato “dig czar” (lo Zar degli Scavi). “La raspa del braccio spingerà il ghiaccio nella pala grazie ad uno speciale meccanismo di cattura e gli scienziati vorrebbero anche raccogliere il materiale raschiato che resta nello scavo”.
Il terreno superficiale è ormai stato analizzato in tutti gli strumenti ed ora il team è impaziente di poter proseguire le analisi con il terreno duro più profondo.
“Il gruppo scientifico che segue Phoenix sta diligentemente analizzando tutti i risultati dei test provenienti dai vari strumenti”, ha aggiunto Peter Smith. “I primi schemi di interpretazione dei dati sono molto intriganti. Prima di rilasciare dei risultati, vogliamo però verificare che le nostre interpretazioni siano corrette conducendo dei test di laboratorio”.
Quando il braccio robotico ha terminato la prima misurazione di conduttività del terreno e stava ritornando in posizione di riposo, ha inavvertitamente urtato il sasso chiamato “Alice” e, grazie al sistema di sicurezza che ferma i movimenti in caso di resistenza, sono stati evitati danni. Dopo un’analisi durata un Sol intero è poi stata programmata una sequenza di movimenti che durante il Sol 48 hanno liberato e svuotato la pala del braccio, pronta per altro lavoro.
“Per ora la parte di ghiaccio scoperta non è abbastanza estesa per eseguire una raccolta sufficiente per il test e per la successiva analisi”, ha detto Ray Arvidson della Washington University di St. Louis, soprannominato “dig czar” (lo Zar degli Scavi). “La raspa del braccio spingerà il ghiaccio nella pala grazie ad uno speciale meccanismo di cattura e gli scienziati vorrebbero anche raccogliere il materiale raschiato che resta nello scavo”.
Il terreno superficiale è ormai stato analizzato in tutti gli strumenti ed ora il team è impaziente di poter proseguire le analisi con il terreno duro più profondo.
“Il gruppo scientifico che segue Phoenix sta diligentemente analizzando tutti i risultati dei test provenienti dai vari strumenti”, ha aggiunto Peter Smith. “I primi schemi di interpretazione dei dati sono molto intriganti. Prima di rilasciare dei risultati, vogliamo però verificare che le nostre interpretazioni siano corrette conducendo dei test di laboratorio”.
Quando il braccio robotico ha terminato la prima misurazione di conduttività del terreno e stava ritornando in posizione di riposo, ha inavvertitamente urtato il sasso chiamato “Alice” e, grazie al sistema di sicurezza che ferma i movimenti in caso di resistenza, sono stati evitati danni. Dopo un’analisi durata un Sol intero è poi stata programmata una sequenza di movimenti che durante il Sol 48 hanno liberato e svuotato la pala del braccio, pronta per altro lavoro.
lunedì 14 luglio 2008
STS-125 News 5.
Sono state apportate delle modifiche ai bulloni esplosivi che tengono ancorati i booster prima del lancio e con questi miglioramenti si considera di diminuire di circa 10 volte i malfunzionamenti.
Infatti in tutti questi anni per ben 25 volte ci sono state esplosioni difettose e il distacco è stato favorito poi dalla spinta poderosa dei motori dei booster.
Il pensiero che il sistema STS stia diventando sempre più sicuro contrasta con la convinzione che purtroppo siamo ormai alla fine della sua storia...
Nel VAB intanto hanno iniziato ad assemblare i booster della eventuale missione di soccorso (STS-400) e quindi la preparazione prosegue spedita.
Anche il grande serbatoio esterno per la STS-125 è pronto ed è in viaggio verso il Kennedy Space Center.
Anche le riparazioni alla rampa di lancio stanno procedendo secondo i piani e le macerie sono ormai state rimosse.
In foto l'equipaggio va a far visita alla stiva di Atlantis mentre è ancora nell'Orbiter Processing Facility per vedere dal vivo le parti che dovranno poi utilizzare in orbita durante la missione.
Infatti in tutti questi anni per ben 25 volte ci sono state esplosioni difettose e il distacco è stato favorito poi dalla spinta poderosa dei motori dei booster.
Il pensiero che il sistema STS stia diventando sempre più sicuro contrasta con la convinzione che purtroppo siamo ormai alla fine della sua storia...
Nel VAB intanto hanno iniziato ad assemblare i booster della eventuale missione di soccorso (STS-400) e quindi la preparazione prosegue spedita.
Anche il grande serbatoio esterno per la STS-125 è pronto ed è in viaggio verso il Kennedy Space Center.
Anche le riparazioni alla rampa di lancio stanno procedendo secondo i piani e le macerie sono ormai state rimosse.
In foto l'equipaggio va a far visita alla stiva di Atlantis mentre è ancora nell'Orbiter Processing Facility per vedere dal vivo le parti che dovranno poi utilizzare in orbita durante la missione.
domenica 13 luglio 2008
Phoenix – Sol 46.
Poche novità tranne la prosecuzione delle analisi e i tentativi di caricare il ghiaccio dallo scavo "Snow White" che, come si vede dalla foto, continua ad essere tormentato dalla pala del braccio robotico.
Ricordiamo i partecipanti alla missione.
La missione Phoenix è diretta da Peter Smith della University of Arizona di Tucson, con la gestione del progetto proveniente dal Jet Propulsion Laboratory di Pasadena ed una collaborazione della Lockheed Martin di Denver.
I contributi internazionali provengono dalla Canadian Space Agency, dalla Università di Neuchatel in Svizzera, dalle Università di Copenhagen e Aarhus della Danimarca, dal Max Planck Institute in Germania e dall'Istituto Meteorologico Finlandese.
Ricordiamo i partecipanti alla missione.
La missione Phoenix è diretta da Peter Smith della University of Arizona di Tucson, con la gestione del progetto proveniente dal Jet Propulsion Laboratory di Pasadena ed una collaborazione della Lockheed Martin di Denver.
I contributi internazionali provengono dalla Canadian Space Agency, dalla Università di Neuchatel in Svizzera, dalle Università di Copenhagen e Aarhus della Danimarca, dal Max Planck Institute in Germania e dall'Istituto Meteorologico Finlandese.
Acqua sulla Luna.
Analisi approfondite sui campioni di suolo lunare riportati a Terra da due diverse missioni Apollo hanno rilevato la presenza di acqua.
Sarebbe rinchiusa in piccole bolle imprigionate nel vetro vulcanico presente in piccole sfere all’interno delle rocce lunari.
Proverrebbero da eruzioni avvenute circa 3 miliardi di anni fa, dopo che una disastrosa collisione, avvenuta 4,5 miliardi di anni fa, ha formato la Luna strappando una parte di materiale dalla Terra primordiale.
E proprio su quella Terra era già presente l’acqua liquida che venne vaporizzata dalla tremenda collisione. L’atmosfera rimanente sulla Luna si è dispersa rapidamente, ma l’acqua intrappolata nelle profondità si è poi trovata mescolata alla roccia fusa dove è rimasta racchiusa fino ad oggi.
Si fanno quindi sempre più probabili le ipotesi che nei profondi crateri posti ai poli Lunari sia presente del ghiaccio d’acqua, grazie al fatto che la luce solare non giunge mai.
Sarebbe rinchiusa in piccole bolle imprigionate nel vetro vulcanico presente in piccole sfere all’interno delle rocce lunari.
Proverrebbero da eruzioni avvenute circa 3 miliardi di anni fa, dopo che una disastrosa collisione, avvenuta 4,5 miliardi di anni fa, ha formato la Luna strappando una parte di materiale dalla Terra primordiale.
E proprio su quella Terra era già presente l’acqua liquida che venne vaporizzata dalla tremenda collisione. L’atmosfera rimanente sulla Luna si è dispersa rapidamente, ma l’acqua intrappolata nelle profondità si è poi trovata mescolata alla roccia fusa dove è rimasta racchiusa fino ad oggi.
Si fanno quindi sempre più probabili le ipotesi che nei profondi crateri posti ai poli Lunari sia presente del ghiaccio d’acqua, grazie al fatto che la luce solare non giunge mai.
sabato 12 luglio 2008
Phoenix – Sol 45.
Ed eccoci giunti a metà strada della missione ufficiale di Phoenix.
La durata prevista è di 90 Sol e questo significa circa fino a fine Agosto.
Le speranze sono che la sonda possa ottenere energia sufficiente per proseguire e che il ghiaccio che ricopre la zona durante l'inverno non arrivi troppo presto.
L'ideale sarebbe che si potesse sfruttare anche settembre e ottobre, dopodiché l'interruzione del lavoro diventerebbe inevitabile a causa della congiunzione solare. Marte passerà dietro il Sole e le comunicazioni si interromperanno per una decina di giorni. Questo accadrà, ovviamente, anche per tutte le sonde attualmente sul Pianeta Rosso, rover compresi e quindi ci sarà un blocco forzato dei lavori, come era già successo dal 18 al 29 ottobre del 2006.
Phoenix ha i giorni contati, e la sua fine sarà segnata dalla fine dell'energia disponibile. Non dobbiamo intristirci per lei, perché sarà stata la prima a vedere e analizzare il ghiaccio marziano, per poi venirne ricoperta.
In foto la sonda di conduttività con le punte inserite nel terreno.
La durata prevista è di 90 Sol e questo significa circa fino a fine Agosto.
Le speranze sono che la sonda possa ottenere energia sufficiente per proseguire e che il ghiaccio che ricopre la zona durante l'inverno non arrivi troppo presto.
L'ideale sarebbe che si potesse sfruttare anche settembre e ottobre, dopodiché l'interruzione del lavoro diventerebbe inevitabile a causa della congiunzione solare. Marte passerà dietro il Sole e le comunicazioni si interromperanno per una decina di giorni. Questo accadrà, ovviamente, anche per tutte le sonde attualmente sul Pianeta Rosso, rover compresi e quindi ci sarà un blocco forzato dei lavori, come era già successo dal 18 al 29 ottobre del 2006.
Phoenix ha i giorni contati, e la sua fine sarà segnata dalla fine dell'energia disponibile. Non dobbiamo intristirci per lei, perché sarà stata la prima a vedere e analizzare il ghiaccio marziano, per poi venirne ricoperta.
In foto la sonda di conduttività con le punte inserite nel terreno.
Passeggiata ISS 20A.
La passeggiata del 10 luglio è durata in tutto 6 ore e 18 minuti, ma non è stata così tranquilla.
I due astronauti erano evidentemente nervosi e non hanno seguito alla perfezione le istruzioni del centro controllo di Terra, anzi, ci sono stati anche dei battibecchi...
Le procedure non erano state testate a dovere e soprattutto non erano così dettagliate. Quindi alcune immagini della EVA hanno fatto venire i brividi a più di un appassionato che stava seguendo le operazioni. Vedere un astronauta con il coltello in mano che tagliava il rivestimento e i cavi elettrici e sapere che stavano maneggiando del materiale esplosivo ha probabilmente provocato un po' di agitazione aggiuntiva a tutti, astronauti compresi.
Comunque, nonostante un cacciavite dimenticato e molta tensione, la EVA si è conclusa con successo e il bullone esplosivo è ora in un contenitore di sicurezza nella ISS pronto per un rientro a Terra per le analisi del caso.
I due astronauti erano evidentemente nervosi e non hanno seguito alla perfezione le istruzioni del centro controllo di Terra, anzi, ci sono stati anche dei battibecchi...
Le procedure non erano state testate a dovere e soprattutto non erano così dettagliate. Quindi alcune immagini della EVA hanno fatto venire i brividi a più di un appassionato che stava seguendo le operazioni. Vedere un astronauta con il coltello in mano che tagliava il rivestimento e i cavi elettrici e sapere che stavano maneggiando del materiale esplosivo ha probabilmente provocato un po' di agitazione aggiuntiva a tutti, astronauti compresi.
Comunque, nonostante un cacciavite dimenticato e molta tensione, la EVA si è conclusa con successo e il bullone esplosivo è ora in un contenitore di sicurezza nella ISS pronto per un rientro a Terra per le analisi del caso.
venerdì 11 luglio 2008
Phoenix – Sol 44.
Phoenix ha toccato per la prima volta il suolo marziano con una sonda a forma di forchetta ed ha iniziato ad usare un microscopio che esamina la struttura delle piccole particelle di terreno toccandole con un microscopico tastatore.
Le quattro punte della sonda sono state piantate per la prima volta ed è stato scelto un tratto di terreno non ancora toccato per testare le procedure di inserimento. Lo strumento si chiama Thermal and Electrical Conductivity Probe e le punte sono state inserite nel terreno per circa 1,5 cm. Lo scopo è stabilire quanto il suolo è conduttivo termicamente ed elettricamente fra le punte. Questo per rilevare la presenza di acqua liquida nel sottosuolo.
Lo strumento è posizionato su una articolazione del braccio robotico che in tutto è lungo 2,35 metri. Tenuto in aria, ha già confermato più volte la presenza di vapor d’acqua nell’atmosfera. I ricercatori hanno eseguito la prima misurazione del suolo dopo aver effettuato due posizionamenti sul terreno.
Phoenix ha anche inviato la prima immagine dall’Atomic Force Microscope. Questo microscopio prodotto in Svizzera costruisce un’immagine della superficie di una campione utilizzando una punta montata in cima ad una molla, il tutto costruito in microtecnologia da un frammento di silicio. Il sensore “spazzola” tutto il campione e produce una immagine del profilo della superficie.
“Lo stesso giorno in cui abbiamo iniziato ad utilizzare il Thermal and Electrical Conductivity Probe, abbiamo iniziato a sondare anche un altro campione, ma di almeno 3 ordini di grandezza più piccolo”, ha detto Michael Hecht del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, responsabile della suite di strumenti di Phoenix.
L’Atomic Force Microscope è un microscopio elettronico a scansione e può fornire dettagli di particelle del suolo di dimensioni di 100 nanometri, meno di un centesimo del diametro di un capello umano. Siamo a circa 20 volte la risoluzione del microscopio ottico che già ci aveva inviato immagini ad un ingrandimento mai utilizzato su Marte.
Il primo tocco della punta dell’Atomic Force Microscope è stato eseguito, come test di funzionamento, sul substrato della ruota di scorrimento dei campioni per il microscopio ottico.
“È sorprendente pensare che l’intera superficie di questa immagine può essere contenuta in una singola ciglia. Sto già pensando alle meraviglie che ci aspettano”, ha aggiunto Hecht.
Con questi sviluppi ottenuti negli ultimi due Sol, il veicolo spaziale ha completato l’attivazione di tutte le sue capacità scientifiche permesse dagli strumenti di microscopia, elettrochimica e analisi di conduttività.
L’Atomic Force Microscope per Phoenix è stato preparato da un consorzio guidato dalla Università di Neuchatel in Svizzera.
Sono inoltre nel vivo le analisi sui risultati provenienti dal secondo test del Wet Chemistry Laboratory e si continua a studiare per il prelievo di ghiaccio da inserire nel TEGA.
Le rilevazioni meteo del Sol 42 sono state:
cielo limpido
t.max. -34°C
t.min. -78°C
pressione 8 mBar
vento 16 km/h da est
Nota: nell'immagine della scansione al microscopio la scala verticale non è rispettata, cioè i rilievi sono amplificati.
Le quattro punte della sonda sono state piantate per la prima volta ed è stato scelto un tratto di terreno non ancora toccato per testare le procedure di inserimento. Lo strumento si chiama Thermal and Electrical Conductivity Probe e le punte sono state inserite nel terreno per circa 1,5 cm. Lo scopo è stabilire quanto il suolo è conduttivo termicamente ed elettricamente fra le punte. Questo per rilevare la presenza di acqua liquida nel sottosuolo.
Lo strumento è posizionato su una articolazione del braccio robotico che in tutto è lungo 2,35 metri. Tenuto in aria, ha già confermato più volte la presenza di vapor d’acqua nell’atmosfera. I ricercatori hanno eseguito la prima misurazione del suolo dopo aver effettuato due posizionamenti sul terreno.
Phoenix ha anche inviato la prima immagine dall’Atomic Force Microscope. Questo microscopio prodotto in Svizzera costruisce un’immagine della superficie di una campione utilizzando una punta montata in cima ad una molla, il tutto costruito in microtecnologia da un frammento di silicio. Il sensore “spazzola” tutto il campione e produce una immagine del profilo della superficie.
“Lo stesso giorno in cui abbiamo iniziato ad utilizzare il Thermal and Electrical Conductivity Probe, abbiamo iniziato a sondare anche un altro campione, ma di almeno 3 ordini di grandezza più piccolo”, ha detto Michael Hecht del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, responsabile della suite di strumenti di Phoenix.
L’Atomic Force Microscope è un microscopio elettronico a scansione e può fornire dettagli di particelle del suolo di dimensioni di 100 nanometri, meno di un centesimo del diametro di un capello umano. Siamo a circa 20 volte la risoluzione del microscopio ottico che già ci aveva inviato immagini ad un ingrandimento mai utilizzato su Marte.
Il primo tocco della punta dell’Atomic Force Microscope è stato eseguito, come test di funzionamento, sul substrato della ruota di scorrimento dei campioni per il microscopio ottico.
“È sorprendente pensare che l’intera superficie di questa immagine può essere contenuta in una singola ciglia. Sto già pensando alle meraviglie che ci aspettano”, ha aggiunto Hecht.
Con questi sviluppi ottenuti negli ultimi due Sol, il veicolo spaziale ha completato l’attivazione di tutte le sue capacità scientifiche permesse dagli strumenti di microscopia, elettrochimica e analisi di conduttività.
L’Atomic Force Microscope per Phoenix è stato preparato da un consorzio guidato dalla Università di Neuchatel in Svizzera.
Sono inoltre nel vivo le analisi sui risultati provenienti dal secondo test del Wet Chemistry Laboratory e si continua a studiare per il prelievo di ghiaccio da inserire nel TEGA.
Le rilevazioni meteo del Sol 42 sono state:
cielo limpido
t.max. -34°C
t.min. -78°C
pressione 8 mBar
vento 16 km/h da est
Nota: nell'immagine della scansione al microscopio la scala verticale non è rispettata, cioè i rilievi sono amplificati.
giovedì 10 luglio 2008
Passeggiata ISS.
E' iniziata la passeggiata denominata 20a e durerà quasi sei ore.
I due astronauti che escono sono Sergey Volkov (EV1) e Oleg Kononenko (EV2).
Utilizzeranno il braccio meccanico manuale Russo Strela 1 per raggiungere i bulloni esplosivi che separano modulo di rientro e modulo di servizio della Soyuz TMA-12 ormeggiata alla stazione. Il compito sarà di smontare uno dei bulloni e portarlo poi all'interno della stazione. Sarà una procedura molto particolare perchè porterà dentro alla stazione del materiale esplosivo estremamente pericoloso.
Questo per cercare di trovare eventuali anomalie che nelle ultime due missioni hanno causato il rientro balistico della capsula russa. E' ormai accertato che il rientro anomalo è stato causato da un difettoso distacco dei due moduli e quindi i primi indiziati sono proprio i bulloni esplosivi che favoriscono la separazione.
Per l'inizio del lavoro verranno montate delle coperture di sicurezza sui motori di manovra della Soyuz, questo per ragioni di sicurezza verso i cosmonauti al lavoro.
Durante la EVA, Chamitoff, il terzo membro della Expedition 17, rimarrà all'interno della Soyuz in quanto essa è posizionata sul Pirs, il modulo che fa da compartimento stagno del lato russo della stazione, il quale dovendo essere depressurizzato per permettere la EVA impedirebbe all'astronauta sulla ISS di effettuare una fuga rapida in caso di pericolo.
I due astronauti che escono sono Sergey Volkov (EV1) e Oleg Kononenko (EV2).
Utilizzeranno il braccio meccanico manuale Russo Strela 1 per raggiungere i bulloni esplosivi che separano modulo di rientro e modulo di servizio della Soyuz TMA-12 ormeggiata alla stazione. Il compito sarà di smontare uno dei bulloni e portarlo poi all'interno della stazione. Sarà una procedura molto particolare perchè porterà dentro alla stazione del materiale esplosivo estremamente pericoloso.
Questo per cercare di trovare eventuali anomalie che nelle ultime due missioni hanno causato il rientro balistico della capsula russa. E' ormai accertato che il rientro anomalo è stato causato da un difettoso distacco dei due moduli e quindi i primi indiziati sono proprio i bulloni esplosivi che favoriscono la separazione.
Per l'inizio del lavoro verranno montate delle coperture di sicurezza sui motori di manovra della Soyuz, questo per ragioni di sicurezza verso i cosmonauti al lavoro.
Durante la EVA, Chamitoff, il terzo membro della Expedition 17, rimarrà all'interno della Soyuz in quanto essa è posizionata sul Pirs, il modulo che fa da compartimento stagno del lato russo della stazione, il quale dovendo essere depressurizzato per permettere la EVA impedirebbe all'astronauta sulla ISS di effettuare una fuga rapida in caso di pericolo.
Phoenix – Sol 43.
Le analisi degli strumenti di bordo hanno durate molto diverse a seconda dello strumento. Se si tratta delle osservazioni al microscopio è sufficiente una giornata, mentre se si tratta della cottura nel TEGA le operazioni sono decisamente complesse perché comportano il riconoscimento dei vari gas, elementi e componenti organici eventualmente presenti nel campione esaminato: per queste analisi sono necessarie settimane.
Oltre all’attesa per questi esiti stiamo anche fremendo per avere notizie riguardo il carico del materiale da parte della pala del braccio di raccolta.
I lavori proseguono.
Il team di HiRISE, la fotocamera ad alta definizione montata sul Mars Reconaissance Orbiter, ha continuato l’analisi delle foto riprese durante la discesa di Phoenix, da cui era stata tratta l’immagine del lander appeso al paracadute.
E proprio da quella foto è sbucata fuori una novità: più in basso, sotto il lander si vede lo scudo termico che sta cadendo, ma non ha ancora toccato il suolo.
E la certezza di questo è giunta grazie ad una verifica del livello di nero dei vari puntini che compaiono nella foto. Quel particolare puntino ha un livello di nero più profondo di qualsiasi altro, grazie al fatto che è ad una quota superiore. Il nero (dato dalla bruciatura subita durante il rientro atmosferico) è più scuro perché dietro di lui ci sono una trentina di chilometri di atmosfera. Infatti quella è la distanza del lander e dello scudo dal cratere che si staglia sullo sfondo. I punti neri presenti sul fondo del cratere risultano così meno scuri.
Questa foto era già fenomenale quando venne scovata, ma ora diventa ancora più unica.
Sono giunti altri dati dalla stazione meteo di Phoenix, li trovate riassunti qui di seguito.
Sol .. T. Min .. T. Max .. Pressione ... Vento ........ Visibilità
38 ... -80ºC ... -33ºC ... 8.08 mBar ... 10 km/h da N ... limpido
39 ... -78ºC ... -32ºC ... 8.07 mBar ... 13 km/h da N ... limpido
40 ... -78ºC ... -29ºC ... 8.07 mBar ... 9 km/h da NO ... limpido
41 ... -80ºC ... -30ºC ... 8.06 mBar .................... limpido
Oltre all’attesa per questi esiti stiamo anche fremendo per avere notizie riguardo il carico del materiale da parte della pala del braccio di raccolta.
I lavori proseguono.
Il team di HiRISE, la fotocamera ad alta definizione montata sul Mars Reconaissance Orbiter, ha continuato l’analisi delle foto riprese durante la discesa di Phoenix, da cui era stata tratta l’immagine del lander appeso al paracadute.
E proprio da quella foto è sbucata fuori una novità: più in basso, sotto il lander si vede lo scudo termico che sta cadendo, ma non ha ancora toccato il suolo.
E la certezza di questo è giunta grazie ad una verifica del livello di nero dei vari puntini che compaiono nella foto. Quel particolare puntino ha un livello di nero più profondo di qualsiasi altro, grazie al fatto che è ad una quota superiore. Il nero (dato dalla bruciatura subita durante il rientro atmosferico) è più scuro perché dietro di lui ci sono una trentina di chilometri di atmosfera. Infatti quella è la distanza del lander e dello scudo dal cratere che si staglia sullo sfondo. I punti neri presenti sul fondo del cratere risultano così meno scuri.
Questa foto era già fenomenale quando venne scovata, ma ora diventa ancora più unica.
Sono giunti altri dati dalla stazione meteo di Phoenix, li trovate riassunti qui di seguito.
Sol .. T. Min .. T. Max .. Pressione ... Vento ........ Visibilità
38 ... -80ºC ... -33ºC ... 8.08 mBar ... 10 km/h da N ... limpido
39 ... -78ºC ... -32ºC ... 8.07 mBar ... 13 km/h da N ... limpido
40 ... -78ºC ... -29ºC ... 8.07 mBar ... 9 km/h da NO ... limpido
41 ... -80ºC ... -30ºC ... 8.06 mBar .................... limpido
mercoledì 9 luglio 2008
Phoenix – Sol 42.
Si sta ancora lavorando allo scavo chiamato “Snow White”, ma le cose non vanno come dovrebbero.
I tentativi di raschiare uno strato di ghiaccio hanno portato a creare piccoli mucchi di materiale, ma non si riesce a farlo salire sulla pala.
“È come raccogliere la polvere dal pavimento con una paletta senza usare la scopa”, ha detto Richard Volpe, del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, un ingegnere del team di controllo del braccio robotico.
Anche la superficie del ghiaccio risulta molto dura, probabilmente a causa delle temperature molto basse e tutti i tentativi fatti con il bordo della benna hanno dato l’impressione al controllo missione di raschiare con le unghie su una lavagna.
“Abbiamo ben tre strumenti da utilizzare per scalfire il ghiaccio”, ha detto Ray Arvidson della Washington University di St. Louis. “Possiamo utilizzare la lama anteriore della benna che è in Titanio, quella secondaria in Carburo di Tungsteno posta alla base della pala o la raspa ad alta velocità montata sotto la base della pala stessa. Ora non ci resta che utilizzare la raspa per produrre una certa quantità di ghiaccio tritato per poterlo inserire nel TEGA. Stiamo lavorando come se dovessimo analizzare un marciapiede!”
L’ultimo tentativo eseguito è stato controllato dalla Stereo Imaging Camera e dopo 50 raschiature con la lama anteriore si erano prodotti due mucchietti che non potevano essere caricati sulla pala, che quindi rimaneva inesorabilmente vuota.
Si stanno proseguendo anche i test con il gemello di Phoenix che fa da testbed a Terra, e si spera di trovare una procedura per risolvere questo problema.
I tentativi di raschiare uno strato di ghiaccio hanno portato a creare piccoli mucchi di materiale, ma non si riesce a farlo salire sulla pala.
“È come raccogliere la polvere dal pavimento con una paletta senza usare la scopa”, ha detto Richard Volpe, del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, un ingegnere del team di controllo del braccio robotico.
Anche la superficie del ghiaccio risulta molto dura, probabilmente a causa delle temperature molto basse e tutti i tentativi fatti con il bordo della benna hanno dato l’impressione al controllo missione di raschiare con le unghie su una lavagna.
“Abbiamo ben tre strumenti da utilizzare per scalfire il ghiaccio”, ha detto Ray Arvidson della Washington University di St. Louis. “Possiamo utilizzare la lama anteriore della benna che è in Titanio, quella secondaria in Carburo di Tungsteno posta alla base della pala o la raspa ad alta velocità montata sotto la base della pala stessa. Ora non ci resta che utilizzare la raspa per produrre una certa quantità di ghiaccio tritato per poterlo inserire nel TEGA. Stiamo lavorando come se dovessimo analizzare un marciapiede!”
L’ultimo tentativo eseguito è stato controllato dalla Stereo Imaging Camera e dopo 50 raschiature con la lama anteriore si erano prodotti due mucchietti che non potevano essere caricati sulla pala, che quindi rimaneva inesorabilmente vuota.
Si stanno proseguendo anche i test con il gemello di Phoenix che fa da testbed a Terra, e si spera di trovare una procedura per risolvere questo problema.
martedì 8 luglio 2008
Phoenix – Sol 41.
Il braccio robotico ha inserito un secondo campione nel WCL (Wet Chemistry Laboratory) e le analisi sono in corso. Il WCL fa parte del MECA (Microscopy, Electrochemistry and Conductivity Analyzer).
Tutti i dati di questo secondo carico di terreno saranno poi confrontati con quelli ricavati dal primo carico per avere conferma dei risultati. Questa volta è stata utilizzata la cella 1 mentre un paio di settimane fa si è usata la 0.
Intanto il braccio si sta esercitando a raschiare il ghiaccio e ad eseguire un carico molto veloce del TEGA (il Thermal and Evolved-Gas Analyzer) per evitare di trovarsi nuovamente senza ghiaccio nel forno di cottura: questa dev'essere la volta buona per rilevare l'acqua nel terreno.
Tutti i dati di questo secondo carico di terreno saranno poi confrontati con quelli ricavati dal primo carico per avere conferma dei risultati. Questa volta è stata utilizzata la cella 1 mentre un paio di settimane fa si è usata la 0.
Intanto il braccio si sta esercitando a raschiare il ghiaccio e ad eseguire un carico molto veloce del TEGA (il Thermal and Evolved-Gas Analyzer) per evitare di trovarsi nuovamente senza ghiaccio nel forno di cottura: questa dev'essere la volta buona per rilevare l'acqua nel terreno.
Piccolo aggiornamento nei lanci Shuttle.
La NASA ha emesso l'elenco ufficiale delle date delle prossime missioni.
Rispetto a questo articolo cambia solo la STS-127 dell'Endeavour che partirà il 15 maggio 2009 anzichè il 21.
Tutte le altre sono per ora confermate e si inizia anche a parlare della STS-134 che pare sempre più probabile. Di fatto il costo per la NASA sarebbe minimo considerando che negli ordini di serbatoi e booster è già prevista la costruzione di una serie in più per l'eventuale missione di soccorso alla STS-133.
La STS-334 può quindi diventare STS-134 e non avrà una missione di soccorso, affidandosi ad una eventuale evacuazione per mezzo di Soyuz che all'epoca dovranno già aver raddoppiato la forza di produzione a causa dell'aumento dell'equipaggio della ISS da 3 a 6 persone.
Non essendoci più lo Shuttle la Soyuz dovrà restare per cinque anni l'unico accesso abitato allo spazio, Cinesi esclusi.
In foto lo Shuttle Endeavour mentre sale verso il cielo, contornato dall'onda d'urto del superamento della barriera del suono.
Fonte: NASA.
Rispetto a questo articolo cambia solo la STS-127 dell'Endeavour che partirà il 15 maggio 2009 anzichè il 21.
Tutte le altre sono per ora confermate e si inizia anche a parlare della STS-134 che pare sempre più probabile. Di fatto il costo per la NASA sarebbe minimo considerando che negli ordini di serbatoi e booster è già prevista la costruzione di una serie in più per l'eventuale missione di soccorso alla STS-133.
La STS-334 può quindi diventare STS-134 e non avrà una missione di soccorso, affidandosi ad una eventuale evacuazione per mezzo di Soyuz che all'epoca dovranno già aver raddoppiato la forza di produzione a causa dell'aumento dell'equipaggio della ISS da 3 a 6 persone.
Non essendoci più lo Shuttle la Soyuz dovrà restare per cinque anni l'unico accesso abitato allo spazio, Cinesi esclusi.
In foto lo Shuttle Endeavour mentre sale verso il cielo, contornato dall'onda d'urto del superamento della barriera del suono.
Fonte: NASA.
lunedì 7 luglio 2008
Phoenix - Sol 38, 39 e 40.
Continua la penuria di informazioni e le uniche notizie disponibili sono i dati meteo per i Sol 36 e 37.
Sol 36:
Cielo terso,
temperatura massima -33°C,
temperatura minima -79°C,
pressione atmosferica 8,11 mBar.
Sol 37:
Cielo terso,
temperatura massima -33°C,
temperatura minima -79°C,
pressione atmosferica 8,20 mBar.
Sol 36:
Cielo terso,
temperatura massima -33°C,
temperatura minima -79°C,
pressione atmosferica 8,11 mBar.
Sol 37:
Cielo terso,
temperatura massima -33°C,
temperatura minima -79°C,
pressione atmosferica 8,20 mBar.
Lancio Ariane.
E' appena partito da dalla rampa ELA-3 di Kourou il quarto razzo Ariane 5 dell'anno.
Trasporta due satelliti da posizionare in orbita geostazionaria: il Protostar I e il BADR-6.
Il lancio è avvenuto alle 23:47 italiane (21:47 UTC).
Le immagini in diretta sono trasmesse dal Videocorner di ArianeSpace.
Il 184esimo volo Arianespace utilizza la versione ECA dello stadio orbitale.
ProtoStar 1 è un satellite per telecomunicazioni che fornirà diffusione televisiva ad alta definizione e connessioni Internet a banda larga per l'Asia sudorientale.
BADR-6 è un satellite per telecomunicazioni della Arabsat e servirà il Medio Oriente e il Nord Africa.
Entrambi i satelliti rilasciati in orbita nella posizione prevista. Missione conclusa con un pieno successo.
Il lancio è stato rinviato il 4 luglio per un inconveniente elettrico.
Trasporta due satelliti da posizionare in orbita geostazionaria: il Protostar I e il BADR-6.
Il lancio è avvenuto alle 23:47 italiane (21:47 UTC).
Le immagini in diretta sono trasmesse dal Videocorner di ArianeSpace.
Il 184esimo volo Arianespace utilizza la versione ECA dello stadio orbitale.
ProtoStar 1 è un satellite per telecomunicazioni che fornirà diffusione televisiva ad alta definizione e connessioni Internet a banda larga per l'Asia sudorientale.
BADR-6 è un satellite per telecomunicazioni della Arabsat e servirà il Medio Oriente e il Nord Africa.
Entrambi i satelliti rilasciati in orbita nella posizione prevista. Missione conclusa con un pieno successo.
Il lancio è stato rinviato il 4 luglio per un inconveniente elettrico.
Primo test per Constellation.
La NASA ha intenzione di eseguire il primo test di volo con il nuovo vettore Ares I già nella primavera del 2009.
Sarà un vero e proprio lancio di prova, siglato Ares I-X e non arriverà neanche in orbita.
Il suo volo durerà un paio di minuti e il carico sarà infatti un simulacro della capsula Orion che sarà però imbottita di sensori e registratori per poter raccogliere la quantità più alta possibile di dati dall’esperimento.
Dopo la chiusura del programma Space Shuttle prevista per il 2010, il nuovo programma umano per lo spazio sarà proprio il Constellation composto da vettori Ares I derivati dagli attuali booster a propellente solido dello Shuttle, ma con il 25% di potenza in più (5 segmenti invece dei 4 attuali) che si occuperanno di portare in orbita le capsule Orion (da 4 o 6 posti) e lanciatori cargo pesanti Ares V che porteranno in orbita le strutture e tutto il necessario per le future missioni verso la Luna, compreso il modulo lunare Altair, previste a partire dal 2020.
Il primo volo nominale con equipaggio è però previsto non prima del 2015 e quindi rimarrà un vuoto nel trasporto spaziale statunitense per almeno cinque anni, salvo ritardi. Quella mancanza verrà compensata dall’offerta costante di posti a bordo delle Soyuz russe dietro il pagamento di 50 milioni di dollari a persona.
Il primo volo Ares I-X dovrà obbligatoriamente sottostare agli eventuali ritardi nello sgombero dell’ultima missione Shuttle in partenza dalla rampa 39B.
Si dovrà attendere lo spostamento della navetta Endeavour per la eventuale missione STS-400 attualmente prevista dopo l’8 ottobre 2008. Dopo si potrà iniziare l’allestimento della rampa per Ares.
Le due rampe saranno poi attrezzate in modo diverso fra loro: la 39A per il lancio degli Ares V e la 39B per il lancio degli Ares I.
Presto farò un riassunto delle principali caratteristiche che avranno i vettori del nuovo programma.
Sarà un vero e proprio lancio di prova, siglato Ares I-X e non arriverà neanche in orbita.
Il suo volo durerà un paio di minuti e il carico sarà infatti un simulacro della capsula Orion che sarà però imbottita di sensori e registratori per poter raccogliere la quantità più alta possibile di dati dall’esperimento.
Dopo la chiusura del programma Space Shuttle prevista per il 2010, il nuovo programma umano per lo spazio sarà proprio il Constellation composto da vettori Ares I derivati dagli attuali booster a propellente solido dello Shuttle, ma con il 25% di potenza in più (5 segmenti invece dei 4 attuali) che si occuperanno di portare in orbita le capsule Orion (da 4 o 6 posti) e lanciatori cargo pesanti Ares V che porteranno in orbita le strutture e tutto il necessario per le future missioni verso la Luna, compreso il modulo lunare Altair, previste a partire dal 2020.
Il primo volo nominale con equipaggio è però previsto non prima del 2015 e quindi rimarrà un vuoto nel trasporto spaziale statunitense per almeno cinque anni, salvo ritardi. Quella mancanza verrà compensata dall’offerta costante di posti a bordo delle Soyuz russe dietro il pagamento di 50 milioni di dollari a persona.
Il primo volo Ares I-X dovrà obbligatoriamente sottostare agli eventuali ritardi nello sgombero dell’ultima missione Shuttle in partenza dalla rampa 39B.
Si dovrà attendere lo spostamento della navetta Endeavour per la eventuale missione STS-400 attualmente prevista dopo l’8 ottobre 2008. Dopo si potrà iniziare l’allestimento della rampa per Ares.
Le due rampe saranno poi attrezzate in modo diverso fra loro: la 39A per il lancio degli Ares V e la 39B per il lancio degli Ares I.
Presto farò un riassunto delle principali caratteristiche che avranno i vettori del nuovo programma.
Mappa Lunare Cinese.
La sonda cinese Chang'e-1 ha completato la raccolta dei dati necessari per la stesura della prima mappa completa della superficie lunare. Dal 26 novembre, data della prima foto, la sonda ha completato la ripresa delle immagini dell’intero globo selenico con una definizione d'immagine di 120 metri/pixel (con la Optical Stereo Camera) e altimetrica di un metro (con un altimetro laser).
I cartografi a Terra hanno quasi completato il lavoro di organizzazione delle fotografie.
Partito il 24 ottobre 2007, Chang'e-1 è il primo orbiter lunare lanciato dalla Cina ed ha così completato la sua missione. I vertici della CNSA dovranno ora decidere per il suo prossimo uso, soprattutto considerando che tutte le componenti di bordo stanno ancora funzionando alla perfezione.
Attualmente il problema principale per la sonda è rappresentato dalla imminente eclissi di Luna, il 16 agosto prossimo, quando l’ombra della Terra la lascerà senza rifornimento energetico (dalle celle solari) per oltre quattro ore e la sua unica fonte di energia sarà rappresentata dalle batterie. Durante la precedente eclisse di febbraio, Chang'e-1 doveva rimanere per due ore e mezza senza Sole, ma una correzione di rotta ha ridotto questo tempo ad un’ora e mezza. In quell’occasione il sistema di accumulatori ha funzionato alla perfezione consumando solo il 40% della carica invece del 60% previsto. Le batterie sono garantite per un anno di funzionamento ed ora siamo abbastanza vicini a quel limite, ma al centro controllo sono fiduciosi sulle capacità della sonda. Verrà comunque eseguita un’ulteriore correzione di rotta per l’eclissi di agosto.
I progetti futuri dell’esplorazione lunare cinese sono il lancio della Chang'e-2 che entrerà in un’orbita più bassa della Chang'e-1: scenderà a meno di 100 km invece di mantenersi a 205.
Il lancio di Chang’e-2 è previsto per il tardo 2009, mentre il passo successivo per la Cina sarà l’invio sulla superficie di un rover che possa muoversi liberamente sul terreno del nostro satellite. La partenza è prevista per il 2013.
Il terzo e ulteriore passo comporterà un rover che possa riportare a Terra dei campioni di suolo per eseguire studi approfonditi.
I cartografi a Terra hanno quasi completato il lavoro di organizzazione delle fotografie.
Partito il 24 ottobre 2007, Chang'e-1 è il primo orbiter lunare lanciato dalla Cina ed ha così completato la sua missione. I vertici della CNSA dovranno ora decidere per il suo prossimo uso, soprattutto considerando che tutte le componenti di bordo stanno ancora funzionando alla perfezione.
Attualmente il problema principale per la sonda è rappresentato dalla imminente eclissi di Luna, il 16 agosto prossimo, quando l’ombra della Terra la lascerà senza rifornimento energetico (dalle celle solari) per oltre quattro ore e la sua unica fonte di energia sarà rappresentata dalle batterie. Durante la precedente eclisse di febbraio, Chang'e-1 doveva rimanere per due ore e mezza senza Sole, ma una correzione di rotta ha ridotto questo tempo ad un’ora e mezza. In quell’occasione il sistema di accumulatori ha funzionato alla perfezione consumando solo il 40% della carica invece del 60% previsto. Le batterie sono garantite per un anno di funzionamento ed ora siamo abbastanza vicini a quel limite, ma al centro controllo sono fiduciosi sulle capacità della sonda. Verrà comunque eseguita un’ulteriore correzione di rotta per l’eclissi di agosto.
I progetti futuri dell’esplorazione lunare cinese sono il lancio della Chang'e-2 che entrerà in un’orbita più bassa della Chang'e-1: scenderà a meno di 100 km invece di mantenersi a 205.
Il lancio di Chang’e-2 è previsto per il tardo 2009, mentre il passo successivo per la Cina sarà l’invio sulla superficie di un rover che possa muoversi liberamente sul terreno del nostro satellite. La partenza è prevista per il 2013.
Il terzo e ulteriore passo comporterà un rover che possa riportare a Terra dei campioni di suolo per eseguire studi approfonditi.
domenica 6 luglio 2008
Iniziata Cassini Equinox.
Come preannunciato in un precedente articolo, il primo luglio siamo entrati ufficialmente nella nuova missione della sonda Cassini, missione chiamata Cassini Equinox.
Proseguirà con le sue osservazioni e soprattutto si troverà lassù per l’equinozio di Saturno, nell’agosto del 2009, quando cioè gli anelli saranno di taglio rispetto al Sole.
È stata una missione eccezionale e si spera che possa continuare anche oltre i 2 anni previsti da questa missione estesa.
Proseguirà con le sue osservazioni e soprattutto si troverà lassù per l’equinozio di Saturno, nell’agosto del 2009, quando cioè gli anelli saranno di taglio rispetto al Sole.
È stata una missione eccezionale e si spera che possa continuare anche oltre i 2 anni previsti da questa missione estesa.
Trent'anni di Caronte.
Il team della sonda New Horizons festeggia il trentesimo anniversario della scoperta di Caronte, satellite di Plutone.
Venne scoperto da James Christy e Robert Harrington astronomi all’U.S. Naval Observatory e l’annuncio ufficiale venne dato il 7 luglio 1978.
Caronte ha un diametro di circa 1200 km e orbita intorno a Plutone ad una distanza di 18'200 km. È il più grande satellite del Sistema Solare in proporzione al pianeta intorno cui orbita. La loro rotazione reciproca (che dura 6,39 giorni terrestri) fa sì che i due corpi celesti si mostrino sempre lo stesso emisfero.
La superficie di Caronte dovrebbe essere ricoperta di ghiaccio d’acqua e il suo interno dovrebbe essere composto da ghiaccio e roccia in parti uguali. A differenza di Plutone che possiede un leggero strato di metano gassoso, non ha nessuna atmosfera.
“La scoperta di Caronte ci ha spinti alla comprensione di Plutone come sistema planetario binario che nasce da una sostanziale collisione che permette di generare un satellite così grande. Cosa che è successa anche alla Terra”, ha detto Alan Stern, responsabile delle scoperte di New Horizons.
La famiglia di Plutone è cresciuta solo tre anni fa, quando il gruppo di New Horizons, comandato proprio da Stern e Hal Weaver, hanno scoperto altre due lune chiamate Notte (Nix) e Idra (Hydra), i due puntini che si vedono nella foto scattata da Hubble.
La sonda New Horizons è in rotta di intercettazione con il sistema Plutoniano, che raggiungerà nel 2015. Permetterà di trasformare questi puntini luminosi in un sistema ben conosciuto.
Foto: HST.
Venne scoperto da James Christy e Robert Harrington astronomi all’U.S. Naval Observatory e l’annuncio ufficiale venne dato il 7 luglio 1978.
Caronte ha un diametro di circa 1200 km e orbita intorno a Plutone ad una distanza di 18'200 km. È il più grande satellite del Sistema Solare in proporzione al pianeta intorno cui orbita. La loro rotazione reciproca (che dura 6,39 giorni terrestri) fa sì che i due corpi celesti si mostrino sempre lo stesso emisfero.
La superficie di Caronte dovrebbe essere ricoperta di ghiaccio d’acqua e il suo interno dovrebbe essere composto da ghiaccio e roccia in parti uguali. A differenza di Plutone che possiede un leggero strato di metano gassoso, non ha nessuna atmosfera.
“La scoperta di Caronte ci ha spinti alla comprensione di Plutone come sistema planetario binario che nasce da una sostanziale collisione che permette di generare un satellite così grande. Cosa che è successa anche alla Terra”, ha detto Alan Stern, responsabile delle scoperte di New Horizons.
La famiglia di Plutone è cresciuta solo tre anni fa, quando il gruppo di New Horizons, comandato proprio da Stern e Hal Weaver, hanno scoperto altre due lune chiamate Notte (Nix) e Idra (Hydra), i due puntini che si vedono nella foto scattata da Hubble.
La sonda New Horizons è in rotta di intercettazione con il sistema Plutoniano, che raggiungerà nel 2015. Permetterà di trasformare questi puntini luminosi in un sistema ben conosciuto.
Foto: HST.
venerdì 4 luglio 2008
Phoenix – Sol 37.
Tenendo fede alle promesse, ci sono poche novità da Phoenix, che sta proseguendo il suo lavoro di fotografia.
L'unica notizia di rilievo è che il TEGA nel sandbox (il simulatore) a Terra, ha subito un altro corto circuito non appena utilizzato per la seconda cottura. Si dovrà fare molta attenzione quando, la prossima settimana, si riaccenderà quello vero su Marte...
Stasera, ad occidente subito dopo il tramonto, si potrà vedere una fettina di Luna scortata da due "stelle": Saturno e, appunto, Marte.
L'unica notizia di rilievo è che il TEGA nel sandbox (il simulatore) a Terra, ha subito un altro corto circuito non appena utilizzato per la seconda cottura. Si dovrà fare molta attenzione quando, la prossima settimana, si riaccenderà quello vero su Marte...
Stasera, ad occidente subito dopo il tramonto, si potrà vedere una fettina di Luna scortata da due "stelle": Saturno e, appunto, Marte.
La sonda Rosetta si risveglia.
I controllori di volo hanno appena risvegliato la sonda Rosetta dall’ibernazione indotta il 27 marzo scorso dopo il test eseguito il 24 marzo, durante il quale è stata fatta una prova completa dell’incontro che la aspetta il 4 settembre prossimo.
Durante il volo semplice la sonda viene messa in una sorta di stato “d’incoscienza” in cui solo le funzioni vitali di base restano attive e tutte le strumentazioni non necessarie vengono spente.
L’appuntamento per cui si sta ora preparando è l’incontro con l’asteroide 2867 Steins ed è uno degli obiettivi principali di Rosetta. Per raggiungerlo ha già eseguito 2 incontri con la Terra ed uno con Marte per aumentare la propria velocità grazie all’effetto fionda gravitazionale.
Proprio questa velocità che la sonda ha acquisito può essere uno dei problemi del passaggio vicino a Stein, perché tutte le riprese fotografiche e strumentali dovrà eseguirle passando a 8,6 km/s, quindi saranno messe a dura prova le capacità di puntamento. La prova eseguita il 24 marzo scorso è appunto servita per questo.
Da questo incontro ravvicinato, gli studiosi si aspettano di rilevare una grande massa di dati sugli asteroidi ed in particolare su Stein: composizione, aspetto, campo magnetico ed eventuali satelliti. Nel giugno del 2010 passerà anche vicino all’asteroide 21 Lutetia. La missione avrà anche un altro obiettivo, che sarà quello finale, e cioè la cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko che verrà raggiunta nel maggio del 2014 quando si troverà a 600 milioni di chilometri dal Sole e nel novembre dello stesso anno il lander Philae si staccherà da Rosetta e si poserà sulla cometa per seguirne il comportamento all’avvicinarsi della nostra stella fino a fine 2015.
Piano della missione.
Lancio: 2 marzo 2004
Primo passaggio fionda con la Terra: 4 marzo 2005.
Passaggio-fionda con Marte: 25 febbraio 2007.
Secondo passaggio fionda con la Terra: 13 Novembre 2007.
Incontro con 2867 Stein: 4 settembre 2008.
Terzo passaggio fionda con la Terra: 13 Novembre 2009.
Incontro con 21 Lutetia: giugno 2010.
Rendez-vous con la cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko: Maggio 2014.
Atterraggio sulla cometa: Novembre 2014.
Lavoro con la cometa fino alla fine del 2015.
Fonte: ESA.
Durante il volo semplice la sonda viene messa in una sorta di stato “d’incoscienza” in cui solo le funzioni vitali di base restano attive e tutte le strumentazioni non necessarie vengono spente.
L’appuntamento per cui si sta ora preparando è l’incontro con l’asteroide 2867 Steins ed è uno degli obiettivi principali di Rosetta. Per raggiungerlo ha già eseguito 2 incontri con la Terra ed uno con Marte per aumentare la propria velocità grazie all’effetto fionda gravitazionale.
Proprio questa velocità che la sonda ha acquisito può essere uno dei problemi del passaggio vicino a Stein, perché tutte le riprese fotografiche e strumentali dovrà eseguirle passando a 8,6 km/s, quindi saranno messe a dura prova le capacità di puntamento. La prova eseguita il 24 marzo scorso è appunto servita per questo.
Da questo incontro ravvicinato, gli studiosi si aspettano di rilevare una grande massa di dati sugli asteroidi ed in particolare su Stein: composizione, aspetto, campo magnetico ed eventuali satelliti. Nel giugno del 2010 passerà anche vicino all’asteroide 21 Lutetia. La missione avrà anche un altro obiettivo, che sarà quello finale, e cioè la cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko che verrà raggiunta nel maggio del 2014 quando si troverà a 600 milioni di chilometri dal Sole e nel novembre dello stesso anno il lander Philae si staccherà da Rosetta e si poserà sulla cometa per seguirne il comportamento all’avvicinarsi della nostra stella fino a fine 2015.
Piano della missione.
Lancio: 2 marzo 2004
Primo passaggio fionda con la Terra: 4 marzo 2005.
Passaggio-fionda con Marte: 25 febbraio 2007.
Secondo passaggio fionda con la Terra: 13 Novembre 2007.
Incontro con 2867 Stein: 4 settembre 2008.
Terzo passaggio fionda con la Terra: 13 Novembre 2009.
Incontro con 21 Lutetia: giugno 2010.
Rendez-vous con la cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko: Maggio 2014.
Atterraggio sulla cometa: Novembre 2014.
Lavoro con la cometa fino alla fine del 2015.
Fonte: ESA.
mercoledì 2 luglio 2008
Phoenix – Sol 36.
Un gruppo di ingegneri e scienziati si è riunito per valutare il corto circuito che è stato scoperto nel TEGA ed ha concluso che il fenomeno potrebbe verificarsi nuovamente quando il forno verrà nuovamente utilizzato.
“Dato che non c’è modo di valutare la probabilità che avvenga un altro corto circuito, cerchiamo di affrontare la prossima analisi che verrà eseguita nel TEGA come se fosse l’ultima”, ha detto Peter Smith, ricercatore capo del progetto Phoenix.
Il corto circuito è stato localizzato nel forno numero 4 del TEGA e pare che si sia verificato durante le operazioni di scuotimento che hanno caratterizzato il primo inserimento di materiale da analizzare all’interno dello strumento. Essendo il TEGA un corpo unico, quando si attivano le vibrazioni per una qualsiasi delle otto celle, vibra anche la 4. Questo è il motivo per la preoccupazione del team di controllo verso le analisi ad alta temperatura che esegue il TEGA.
È molto probabile che il campione prelevato il Sol scorso dallo scavo “Snow White” si sia ormai seccato per la prolungata esposizione all’atmosfera marziana. Quindi verrà inserito nel microscopio e se ne avanzerà, verrà inserito nel Wet Chemistry Laboratory.
Il team della missione si prenderà un giorno di vacanza per l’Indipendence Day e quindi il lavoro verrà interrotto dal 3 luglio mattina al 5 luglio sera, praticamente per due Sol, periodo in cui una squadra ridotta all’osso (distribuita fra la University of Arizona a Tucson, il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena e il Lockheed Martin Space Systems di Denver) continuerà a monitorare il buon funzionamento della sonda.
“La pausa è un’occasione per far riposare i nostri team, ma Phoenix non riposerà”, ha detto Smith. “La sonda lavorerà in base ad un programma di operazioni pre caricate, come le rilevazioni meteorologiche e le riprese fotografiche.”
Quando si otterrà il prossimo campione di materiale ricco di ghiaccio verrà immediatamente inserito nel forno TEGA numero zero. In pochi giorni il team farà eseguire tutte le analisi per minimizzare la possibilità di perdere materiale per sublimazione.
Il meteo rimane sul bello stabile con temperatura massima -33°C, minima -78°C.
“Dato che non c’è modo di valutare la probabilità che avvenga un altro corto circuito, cerchiamo di affrontare la prossima analisi che verrà eseguita nel TEGA come se fosse l’ultima”, ha detto Peter Smith, ricercatore capo del progetto Phoenix.
Il corto circuito è stato localizzato nel forno numero 4 del TEGA e pare che si sia verificato durante le operazioni di scuotimento che hanno caratterizzato il primo inserimento di materiale da analizzare all’interno dello strumento. Essendo il TEGA un corpo unico, quando si attivano le vibrazioni per una qualsiasi delle otto celle, vibra anche la 4. Questo è il motivo per la preoccupazione del team di controllo verso le analisi ad alta temperatura che esegue il TEGA.
È molto probabile che il campione prelevato il Sol scorso dallo scavo “Snow White” si sia ormai seccato per la prolungata esposizione all’atmosfera marziana. Quindi verrà inserito nel microscopio e se ne avanzerà, verrà inserito nel Wet Chemistry Laboratory.
Il team della missione si prenderà un giorno di vacanza per l’Indipendence Day e quindi il lavoro verrà interrotto dal 3 luglio mattina al 5 luglio sera, praticamente per due Sol, periodo in cui una squadra ridotta all’osso (distribuita fra la University of Arizona a Tucson, il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena e il Lockheed Martin Space Systems di Denver) continuerà a monitorare il buon funzionamento della sonda.
“La pausa è un’occasione per far riposare i nostri team, ma Phoenix non riposerà”, ha detto Smith. “La sonda lavorerà in base ad un programma di operazioni pre caricate, come le rilevazioni meteorologiche e le riprese fotografiche.”
Quando si otterrà il prossimo campione di materiale ricco di ghiaccio verrà immediatamente inserito nel forno TEGA numero zero. In pochi giorni il team farà eseguire tutte le analisi per minimizzare la possibilità di perdere materiale per sublimazione.
Il meteo rimane sul bello stabile con temperatura massima -33°C, minima -78°C.
Riportare i campioni di terreno, prossimo passo nell’esplorazione di Marte.
Il 9 e 10 luglio prossimi si terrà a Parigi presso la Bibliothèque Nationale de France una conferenza sul futuro dell’esplorazione marziana, tenuta da ESA, CNES, NASA e IMEWG (International Mars Exploration Working Group).
Stiamo ancora raccogliendo dati dalle varie sonde marziane della NASA, Phoenix, Mars Reconnaissance Orbiter, Mars Exploration Rover e il Mars Odyssey, senza dimenticare la missione ESA Mars Express. Si sta però già discutendo sul futuro dell’esplorazione del Pianeta Rosso con i nuovi strumenti e laboratori che saranno installati a bordo del NASA Mars Science Laboratory e il rover ESA ExoMars.
La comunità internazionale è però d’accordo sulla necessità del prossimo passo esplorativo che permetterebbe un balzo in avanti esponenziale sulle nostre conoscenze di Marte e del suo ambiente, cioè la Mars Sample Return (MSR - missione di recupero dei campioni). E questo per preparare anche la prima missione umana.
La cooperazione internazionale sta crescendo data la sua indispensabilità per le grandi missioni esplorative, specialmente quando i possibili obiettivi sono molto ambiziosi.
E questi due fattori, vale a dire l’evoluzione dell’esplorazione marziana e la cooperazione internazionale, richiedono che il IMEWG dia origine ad un comitato internazionale che possa creare un progetto in grado di ufficializzare i parametri di una possibile missione MSR.
Dopo diversi mesi di lavoro collettivo eseguito da scienziati ed ingegneri provenienti da molte nazioni, il gruppo “iMARS” è pronto per pubblicare i risultati delle sue deliberazioni e di come ha immaginato l’architettura per la futura missione internazionale MSR.
La International Mars Sample Return Conference raccoglierà membri delle comunità scientifica ed industriale, oltre ai rappresentanti delle varie agenzie spaziali di tutto il mondo per discutere dei progetti per l’esplorazione marziana dei prossimi decenni.
La conferenza avrà come relatori principali Steve Squyres della Cornell University, responsabile della missione MER e Jean-Pierre Bibring dell'Institut d'Astrophysique Spatiale responsabile della strumentazione di Mars Express.
Una missione di questo tipo è molto complessa.
Le varie fasi che la comporranno saranno le seguenti.
- Lancio e iniezione sulla rotta interplanetaria verso Marte.
- Sgancio dello stadio di volo di andata.
- Arrivo su Marte ed ingresso in orbita bassa.
- Sgancio del modulo di discesa.
- Ingresso atmosferico e atterraggio (paracadute e airbag o retrorazzi).
- Raccolta campioni e sigillatura degli stessi.
- Partenza del modulo di risalita
- Rendez-vous orbitale con il modulo di ritorno.
- Trasferimento dei campioni nel modulo di ritorno.
- Abbandono del modulo di risalita.
- Partenza e iniezione su rotta interplanetaria di ritorno.
- Sgancio dello stadio di volo di ritorno.
- Rientro atmosferico e recupero.
E dovrà essere tutto automatico, dato il ritardo delle comunicazioni causato dalla distanza.
In tutto sarà composto da un veicolo di lancio, due veicoli di rientro con scudo termico e paracadute, due veicoli di trasferimento, più tutti gli stadi intermedi e i sistemi di attracco.
Inoltre si dovranno affrontare e risolvere altri problemi.
- La scelta del sito di discesa deve essere decisamente molto particolare per dare risultati il più possibile significativi.
- La strumentazione di bordo deve essere la più varia possibile: a seconda della zona può essere necessario scavare nel terreno compatto, sabbioso, sulla roccia o nella ghiaia. Ma soprattutto dovrà permettere al lander di scavare ad una certa profondità , in quanto lo strato superficiale del suolo marziano è completamente sterile a causa dei milioni di anni di bombardamento dei raggi ultravioletti solari.
- Le caratteristiche del lander devono permettere di compensare le irregolarità del terreno, perché durante il lancio del veicolo di rientro dovrà assicurare un punto di partenza ottimale: orizzontale, solido e robusto.
- La dimensione del campione dovrà essere di circa 500 grammi in base agli studi del IMEWG.
- I campioni dovranno essere protetti. Immediatamente dalla luce solare, poi dalle contaminazioni terrestri una volta giunti qui e inoltre non dovranno rilasciare nella nostra atmosfera eventuali agenti patogeni esistenti al loro interno. E come al solito tutta la sonda dovrà essere sterilizzata prima della partenza per evitare possibili contaminazioni dell’ambiente marziano.
Insomma il lavoro da fare è molto ma in sostanza si tratta di una missione simile alle missioni Apollo, con la semplificazione dell’assenza di equipaggio umano, ma la complicazione della maggiore distanza.
Fonte ESA.
Stiamo ancora raccogliendo dati dalle varie sonde marziane della NASA, Phoenix, Mars Reconnaissance Orbiter, Mars Exploration Rover e il Mars Odyssey, senza dimenticare la missione ESA Mars Express. Si sta però già discutendo sul futuro dell’esplorazione del Pianeta Rosso con i nuovi strumenti e laboratori che saranno installati a bordo del NASA Mars Science Laboratory e il rover ESA ExoMars.
La comunità internazionale è però d’accordo sulla necessità del prossimo passo esplorativo che permetterebbe un balzo in avanti esponenziale sulle nostre conoscenze di Marte e del suo ambiente, cioè la Mars Sample Return (MSR - missione di recupero dei campioni). E questo per preparare anche la prima missione umana.
La cooperazione internazionale sta crescendo data la sua indispensabilità per le grandi missioni esplorative, specialmente quando i possibili obiettivi sono molto ambiziosi.
E questi due fattori, vale a dire l’evoluzione dell’esplorazione marziana e la cooperazione internazionale, richiedono che il IMEWG dia origine ad un comitato internazionale che possa creare un progetto in grado di ufficializzare i parametri di una possibile missione MSR.
Dopo diversi mesi di lavoro collettivo eseguito da scienziati ed ingegneri provenienti da molte nazioni, il gruppo “iMARS” è pronto per pubblicare i risultati delle sue deliberazioni e di come ha immaginato l’architettura per la futura missione internazionale MSR.
La International Mars Sample Return Conference raccoglierà membri delle comunità scientifica ed industriale, oltre ai rappresentanti delle varie agenzie spaziali di tutto il mondo per discutere dei progetti per l’esplorazione marziana dei prossimi decenni.
La conferenza avrà come relatori principali Steve Squyres della Cornell University, responsabile della missione MER e Jean-Pierre Bibring dell'Institut d'Astrophysique Spatiale responsabile della strumentazione di Mars Express.
Una missione di questo tipo è molto complessa.
Le varie fasi che la comporranno saranno le seguenti.
- Lancio e iniezione sulla rotta interplanetaria verso Marte.
- Sgancio dello stadio di volo di andata.
- Arrivo su Marte ed ingresso in orbita bassa.
- Sgancio del modulo di discesa.
- Ingresso atmosferico e atterraggio (paracadute e airbag o retrorazzi).
- Raccolta campioni e sigillatura degli stessi.
- Partenza del modulo di risalita
- Rendez-vous orbitale con il modulo di ritorno.
- Trasferimento dei campioni nel modulo di ritorno.
- Abbandono del modulo di risalita.
- Partenza e iniezione su rotta interplanetaria di ritorno.
- Sgancio dello stadio di volo di ritorno.
- Rientro atmosferico e recupero.
E dovrà essere tutto automatico, dato il ritardo delle comunicazioni causato dalla distanza.
In tutto sarà composto da un veicolo di lancio, due veicoli di rientro con scudo termico e paracadute, due veicoli di trasferimento, più tutti gli stadi intermedi e i sistemi di attracco.
Inoltre si dovranno affrontare e risolvere altri problemi.
- La scelta del sito di discesa deve essere decisamente molto particolare per dare risultati il più possibile significativi.
- La strumentazione di bordo deve essere la più varia possibile: a seconda della zona può essere necessario scavare nel terreno compatto, sabbioso, sulla roccia o nella ghiaia. Ma soprattutto dovrà permettere al lander di scavare ad una certa profondità , in quanto lo strato superficiale del suolo marziano è completamente sterile a causa dei milioni di anni di bombardamento dei raggi ultravioletti solari.
- Le caratteristiche del lander devono permettere di compensare le irregolarità del terreno, perché durante il lancio del veicolo di rientro dovrà assicurare un punto di partenza ottimale: orizzontale, solido e robusto.
- La dimensione del campione dovrà essere di circa 500 grammi in base agli studi del IMEWG.
- I campioni dovranno essere protetti. Immediatamente dalla luce solare, poi dalle contaminazioni terrestri una volta giunti qui e inoltre non dovranno rilasciare nella nostra atmosfera eventuali agenti patogeni esistenti al loro interno. E come al solito tutta la sonda dovrà essere sterilizzata prima della partenza per evitare possibili contaminazioni dell’ambiente marziano.
Insomma il lavoro da fare è molto ma in sostanza si tratta di una missione simile alle missioni Apollo, con la semplificazione dell’assenza di equipaggio umano, ma la complicazione della maggiore distanza.
Fonte ESA.
martedì 1 luglio 2008
Phoenix – Sol 35.
Il braccio robotico ha allargato lo scavo “Snow White” ed ha iniziato a raschiare piccole quantità di ghiaccio. Siamo ormai giunti a Snow White 5 e la zona scavata ha ormai raggiunto i 24 centimetri di larghezza per 33 di lunghezza. Gli scienziati sostengono che il materiale raschiato è il migliore per la strumentazione di analisi. La lama della benna è stata utilizzata per eseguire 50 raschiate del substrato ghiacciato e il materiale ricavato è stato poi ammucchiato in alcuni cumuli di volume compreso fra 10 e 20 centimetri cubi, da 2 a 4 cucchiaini da tè.
Le immagini del lavoro eseguito hanno convinto gli scienziati che quello sia il modo migliore per raccogliere i campioni dello strato limite fra terreno e ghiaccio. È stato quindi ordinato al braccio di prelevare un po’ di materiale per analizzarlo.
La pala ha sparso un po’ di materiale nel TEGA, per l’analisi con il forno e per la determinazione del punto di fusione della miscela ghiaccio-suolo.
A chi inizia a chiedersi il perché di questo accanimento a scavare e raccogliere, possiamo rispondere che in definitiva la missione di Phoenix è:
• scavare fino all’acqua congelata nel sottosuolo,
• tastare, esaminare, vaporizzare ed annusare il terreno e la brina per scoprire la storia dell’acqua su Marte,
• determinare se il suolo artico può supportare la vita,
• studiare il clima marziano da una prospettiva polare.
È notizia di oggi che la University of California, Berkeley, ha tirato le fila di tutti gli studi e i dati precedenti provenienti dalle varie sonde inviate sul pianeta Rosso: Viking 1, Viking 2, Pathfinder, Spirit ed Opportunity.
Questi studi, che hanno raccolto trent’anni di dati, dal 1976 al 2006, hanno raggiunto la convinzione che in tempi molto remoti, su Marte, poteva anche piovere.
Tutte le informazioni raccolte, portano infatti ad affermare che l’acqua liquida presente sul pianeta non fosse solo affiorante, ma anche dilavante e proveniente da fenomeni meteorologici.
Gli studi non arrivano a stabilire se la vita su Marte sia mai esistita, ma possono ricostruire l’ambiente che hanno eventualmente trovato delle forme di vita marziana.
Si parte dall’inizio del Sistema Solare con i pianeti che si stanno raffreddando. Arriviamo a 4,6 miliardi di anni fa, durante il periodo Noachiano in cui i vari gas della formazione del pianeta erano presenti nell’atmosfera. E fra questi c’era anche acqua che nel leggero effetto serra dato dall’atmosfera primordiale, poteva condensarsi in nubi e piovere. È stata un’era temperata in cui l’acqua era liquida e poteva scorrere. Al termine del periodo Noachiano, circa 3,5 miliardi di anni fa, si passò al periodo Esperiano, in cui l’acqua ha iniziato a congelare ed evaporare a causa della mancanza di movimenti tettonici che non hanno alimentato a dovere i vulcani, primi generatori di calore e di gas serra che avrebbero potuto mantenere accettabile la temperatura. Ed è iniziato il degrado con la dispersione dell’atmosfera e il congelamento e sublimazione di tutte le riserve d’acqua affioranti.
E questo fino ad 1,8 miliardi di anni fa, quando è iniziato il periodo Amazzoniano che dura tutt’oggi e che stiamo scoprendo giorno per giorno con Phoenix.
Questo studio parla poi di solfati in alta quantità, presenti anche nelle zone meno piovose della Terra (per esempio il Deserto di Atacama), ma questa affermazione non ha trovato ancora conferme nelle analisi eseguite da Phoenix, che anzi ha rilevato un terreno molto più “amichevole” del previsto.
Inoltre la presenza di sali clorati fa pensare alla esposizione del terreno ad umidità, ma la distribuzione di solfati e clorati cambia a seconda che l’acqua sia affiorante ed evapori o che sia da pioggia e discenda nel sottosuolo.
Queste sono risposte che ci dovrà dare direttamente Phoenix, in base ai fenomeni fisici che studiamo sulla Terra, per poter dare un’interpretazione alle scoperte che vengono effettuate sul Pianeta Rosso.
Le immagini del lavoro eseguito hanno convinto gli scienziati che quello sia il modo migliore per raccogliere i campioni dello strato limite fra terreno e ghiaccio. È stato quindi ordinato al braccio di prelevare un po’ di materiale per analizzarlo.
La pala ha sparso un po’ di materiale nel TEGA, per l’analisi con il forno e per la determinazione del punto di fusione della miscela ghiaccio-suolo.
A chi inizia a chiedersi il perché di questo accanimento a scavare e raccogliere, possiamo rispondere che in definitiva la missione di Phoenix è:
• scavare fino all’acqua congelata nel sottosuolo,
• tastare, esaminare, vaporizzare ed annusare il terreno e la brina per scoprire la storia dell’acqua su Marte,
• determinare se il suolo artico può supportare la vita,
• studiare il clima marziano da una prospettiva polare.
È notizia di oggi che la University of California, Berkeley, ha tirato le fila di tutti gli studi e i dati precedenti provenienti dalle varie sonde inviate sul pianeta Rosso: Viking 1, Viking 2, Pathfinder, Spirit ed Opportunity.
Questi studi, che hanno raccolto trent’anni di dati, dal 1976 al 2006, hanno raggiunto la convinzione che in tempi molto remoti, su Marte, poteva anche piovere.
Tutte le informazioni raccolte, portano infatti ad affermare che l’acqua liquida presente sul pianeta non fosse solo affiorante, ma anche dilavante e proveniente da fenomeni meteorologici.
Gli studi non arrivano a stabilire se la vita su Marte sia mai esistita, ma possono ricostruire l’ambiente che hanno eventualmente trovato delle forme di vita marziana.
Si parte dall’inizio del Sistema Solare con i pianeti che si stanno raffreddando. Arriviamo a 4,6 miliardi di anni fa, durante il periodo Noachiano in cui i vari gas della formazione del pianeta erano presenti nell’atmosfera. E fra questi c’era anche acqua che nel leggero effetto serra dato dall’atmosfera primordiale, poteva condensarsi in nubi e piovere. È stata un’era temperata in cui l’acqua era liquida e poteva scorrere. Al termine del periodo Noachiano, circa 3,5 miliardi di anni fa, si passò al periodo Esperiano, in cui l’acqua ha iniziato a congelare ed evaporare a causa della mancanza di movimenti tettonici che non hanno alimentato a dovere i vulcani, primi generatori di calore e di gas serra che avrebbero potuto mantenere accettabile la temperatura. Ed è iniziato il degrado con la dispersione dell’atmosfera e il congelamento e sublimazione di tutte le riserve d’acqua affioranti.
E questo fino ad 1,8 miliardi di anni fa, quando è iniziato il periodo Amazzoniano che dura tutt’oggi e che stiamo scoprendo giorno per giorno con Phoenix.
Questo studio parla poi di solfati in alta quantità, presenti anche nelle zone meno piovose della Terra (per esempio il Deserto di Atacama), ma questa affermazione non ha trovato ancora conferme nelle analisi eseguite da Phoenix, che anzi ha rilevato un terreno molto più “amichevole” del previsto.
Inoltre la presenza di sali clorati fa pensare alla esposizione del terreno ad umidità, ma la distribuzione di solfati e clorati cambia a seconda che l’acqua sia affiorante ed evapori o che sia da pioggia e discenda nel sottosuolo.
Queste sono risposte che ci dovrà dare direttamente Phoenix, in base ai fenomeni fisici che studiamo sulla Terra, per poter dare un’interpretazione alle scoperte che vengono effettuate sul Pianeta Rosso.
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