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martedì 1 luglio 2008

Phoenix – Sol 35.

Il braccio robotico ha allargato lo scavo “Snow White” ed ha iniziato a raschiare piccole quantità di ghiaccio. Siamo ormai giunti a Snow White 5 e la zona scavata ha ormai raggiunto i 24 centimetri di larghezza per 33 di lunghezza. Gli scienziati sostengono che il materiale raschiato è il migliore per la strumentazione di analisi. La lama della benna è stata utilizzata per eseguire 50 raschiate del substrato ghiacciato e il materiale ricavato è stato poi ammucchiato in alcuni cumuli di volume compreso fra 10 e 20 centimetri cubi, da 2 a 4 cucchiaini da tè.
Le immagini del lavoro eseguito hanno convinto gli scienziati che quello sia il modo migliore per raccogliere i campioni dello strato limite fra terreno e ghiaccio. È stato quindi ordinato al braccio di prelevare un po’ di materiale per analizzarlo.
La pala ha sparso un po’ di materiale nel TEGA, per l’analisi con il forno e per la determinazione del punto di fusione della miscela ghiaccio-suolo.
A chi inizia a chiedersi il perché di questo accanimento a scavare e raccogliere, possiamo rispondere che in definitiva la missione di Phoenix è:
• scavare fino all’acqua congelata nel sottosuolo,
• tastare, esaminare, vaporizzare ed annusare il terreno e la brina per scoprire la storia dell’acqua su Marte,
• determinare se il suolo artico può supportare la vita,
• studiare il clima marziano da una prospettiva polare.

È notizia di oggi che la University of California, Berkeley, ha tirato le fila di tutti gli studi e i dati precedenti provenienti dalle varie sonde inviate sul pianeta Rosso: Viking 1, Viking 2, Pathfinder, Spirit ed Opportunity.
Questi studi, che hanno raccolto trent’anni di dati, dal 1976 al 2006, hanno raggiunto la convinzione che in tempi molto remoti, su Marte, poteva anche piovere.
Tutte le informazioni raccolte, portano infatti ad affermare che l’acqua liquida presente sul pianeta non fosse solo affiorante, ma anche dilavante e proveniente da fenomeni meteorologici.
Gli studi non arrivano a stabilire se la vita su Marte sia mai esistita, ma possono ricostruire l’ambiente che hanno eventualmente trovato delle forme di vita marziana.
Si parte dall’inizio del Sistema Solare con i pianeti che si stanno raffreddando. Arriviamo a 4,6 miliardi di anni fa, durante il periodo Noachiano in cui i vari gas della formazione del pianeta erano presenti nell’atmosfera. E fra questi c’era anche acqua che nel leggero effetto serra dato dall’atmosfera primordiale, poteva condensarsi in nubi e piovere. È stata un’era temperata in cui l’acqua era liquida e poteva scorrere. Al termine del periodo Noachiano, circa 3,5 miliardi di anni fa, si passò al periodo Esperiano, in cui l’acqua ha iniziato a congelare ed evaporare a causa della mancanza di movimenti tettonici che non hanno alimentato a dovere i vulcani, primi generatori di calore e di gas serra che avrebbero potuto mantenere accettabile la temperatura. Ed è iniziato il degrado con la dispersione dell’atmosfera e il congelamento e sublimazione di tutte le riserve d’acqua affioranti.
E questo fino ad 1,8 miliardi di anni fa, quando è iniziato il periodo Amazzoniano che dura tutt’oggi e che stiamo scoprendo giorno per giorno con Phoenix.
Questo studio parla poi di solfati in alta quantità, presenti anche nelle zone meno piovose della Terra (per esempio il Deserto di Atacama), ma questa affermazione non ha trovato ancora conferme nelle analisi eseguite da Phoenix, che anzi ha rilevato un terreno molto più “amichevole” del previsto.
Inoltre la presenza di sali clorati fa pensare alla esposizione del terreno ad umidità, ma la distribuzione di solfati e clorati cambia a seconda che l’acqua sia affiorante ed evapori o che sia da pioggia e discenda nel sottosuolo.
Queste sono risposte che ci dovrà dare direttamente Phoenix, in base ai fenomeni fisici che studiamo sulla Terra, per poter dare un’interpretazione alle scoperte che vengono effettuate sul Pianeta Rosso.

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