Erano circa le 7:17 di mattina del 30 giugno 1908 e un uomo all’Emporio di Vanvara, in Siberia, era seduto sotto al portico del suo negozio.
D’un tratto a circa 65 km di distanza avveniva un’esplosione di tale potenza da farlo cadere dalla sua sedia e il calore fu tale da dargli la sensazione che la sua maglietta andasse a fuoco.
L’uomo dell’Emporio insieme ad alcune altre persone sparse nella scarsamente popolata regione siberiana del fiume Podkamennaya Tunguska sono stati testimoni involontari della storia della cosmologia.
“Se volete iniziare una discussione con chiunque sugli asteroidi, tutto quello che dovete fare è nominare Tunguska”, ha detto Don Yeomans responsabile al Near-Earth Object Office del Jet Propulsion Laboratory. “È l’unico caso di grande meteoroide dell’era moderna di cui abbiamo testimonianze dirette”.
Benché l’impatto avvenne nel 1908, la prima spedizione scientifica inviata in zona è avvenuta solo 19 anni dopo. Nel 1921, Leonid Kulik, il curatore della collezione di meteoriti del Museo di St. Pietroburgo diresse una spedizione verso Tunguska. Ma le durissime condizioni della landa siberiana hanno sopraffatto il gruppo prima che arrivasse nel punto dell’impatto. Nel 1927 invece l’impresa riuscì a Kulik.
“Dapprima gli abitanti della zona erano riluttanti a parlare dell’evento”, ha detto Yeomans. “Credevano che l’esplosione fosse una visita di Ogdy, il dio del fuoco che ha maledetto la zona spazzando gli alberi e uccidendo gli animali”.
Mentre le testimonianze erano inizialmente difficili da ottenere, c’erano molte evidenze intorno a loro. Duemila chilometri quadrati di foresta erano stati rasi al suolo, ottanta milioni di alberi abbattuti tutti a raggiera intorno ad un centro virtuale.
“Questi alberi hanno fatto da indicatore puntando esattamente nella direzione opposta al centro della deflagrazione”, ha aggiunto Yeomans. “Quando giunsero nell’epicentro trovarono gli alberi in piedi, ma completamente sfrondati di rami e foglie. Sembrava una foresta di pali”.
Questo tipo di ‘potatura’ necessitava di onde d’urto molto potenti, in grado di strappare i rami prima che potessero spaccare i tronchi. Trentasette anni dopo questo tipo di alberi sono stati trovati dove avvenne un’altra enorme esplosione: Hiroshima.
Le spedizioni di Kulik (che raggiunse Tunguska in 3 diverse occasioni) alla fine ottennero alcune testimonianze dalle persone del posto. Una era proprio quella dell’uomo dell’Emporio di Vanara che fu testimone della vampata di calore che lo spinse ad alcuni metri da dove si trovava.
Ecco il suo racconto.
“Improvvisamente nel cielo a nord...
Il cielo si divise in due e in alto sopra la foresta l’intera parte a nord apparve coperta di fuoco...
In quel momento ci fu un’esplosione in cielo ed un fortissimo schianto...
E quello schianto fu seguito da un rumore come di pietre che cadevano dal cielo o di cannoni che sparavano. E la terra tremò”.
L’enorme esplosione provocò un’onda d’urto sismica e lo sbalzo di pressione atmosferica venne registrato dai barografi in Inghilterra. Dense nuvole si formarono sopra la regione e riflettevano la luce del sole da dietro l’orizzonte. I cieli notturni risplendevano e in molte parti dell’Asia si poteva leggere il giornale all’aperto anche di notte. Nella zona centinaia di renne, il primo mezzo di sostentamento delle popolazioni residenti, morirono, ma non ci furono evidenze di perdite umane.
“Un secolo dopo si discute ancora delle cause e sui possibili scenari che possono aver causato l’esplosione”, ha detto Yeomans. “Generalmente però si accetta la versione secondo la quale, in quella mattina, una grande roccia spaziale, di circa 35 metri di diametro, sia entrata nell’atmosfera e sia esplosa nei cieli della Siberia.
Si stima che il piccolo asteroide abbia impattato l’atmosfera terrestre a circa 54'000 km/h e nella sua caduta le 100'000 tonnellate della roccia spaziale surriscaldarono l’aria circostante a circa 25’000°C. alle 7:17 ora locale, giunto ad una quota di 8'500 m la combinazione di calore e pressione provocò la disintegrazione dell’asteroide producendo una esplosione che rilasciò un’energia equivalente a 185 bombe di Hiroshima.
“E questo è il motivo per cui non abbiamo un cratere da impatto”, continua Yeomans. “La maggior parte dell’asteroide si è consumato nell’esplosione”.
Yeomans e i suoi colleghi al Near-Earth Object Office del JPL stanno cercando di creare una mappa delle orbite degli oggetti che incrociano la traiettoria della Terra e che quindi possono essere potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta. Stimano che in media un oggetto delle dimensioni di quello di Tunguska entra nell’atmosfera terrestre ogni 300 anni.
Allora con questo centesimo anniversario significa che per i prossimi 200 anni saremo al sicuro da impatti di questa potenza?
“Non necessariamente”, ha concluso Yeomans. “I 300 anni sono una media statistica basata sui nostri studi. Penso sempre a Tunguska dal punto di vista scientifico, ma non perdo il sonno per la paura di un’altra Tunguska...”.
Fonte: Nasa JPL.
Time machine.
International Space Station
Europa Centrale
Kennedy Space Center - Florida
Baikonur - Kazakhstan
Kourou - French Guyana
lunedì 30 giugno 2008
domenica 29 giugno 2008
Phoenix – Sol 33.
Il suolo marziano finora analizzato da Phoenix ha caratteristiche tali da poter supportare la vita vegetale. Servirebbero solo le condizioni ambientali giuste.
“In pratica abbiamo trovato quello che appare la base nutriente per supportare la vita” ha detto Samuel Kournaves, responsabile del Wet Chemistry Laboratory presso la Tufts University “L’esperimento in cui abbiamo aggiunto acqua per creare il fango marziano, ha evidenziato la presenza di magnesio, sodio, potassio e cloruri in un campione proveniente da un paio di centimetri dalla superficie.”
Le basilari forme di vita animale necessitano anche di elementi organici come carbonio, azoto e ossigeno, mentre i vegetali necessitano di diversi altri minerali.
“Il WCL ha trovato un livello di pH compreso fra 8 e 9 comparabile con quello del mare o del bicarbonato di sodio” Ha aggiunto Kournaves “E il suolo alcalino è ospitale verso molti organismi sul nostro pianeta. Se lo avessimo qui potremmo coltivarci tranquillamente dato che non ci sono sostanze tossiche.”
Con l’aggiunta di alcuni elementi fondamentali organici, come quelli che si trovano sulla Terra, molte forme di vita potrebbero prosperare sul terreno marziano.
“Se ci fossimo trovati davanti ad un terreno come l’acido solforico o come la candeggina, avremmo dovuto pensare a organismi molto particolari” ha continuato Kournaves “Ma questo significa che gli organismi che cerchiamo sono molto più convenzionali. Su quel terreno crescerebbero bene gli asparagi, ma non le fragole. I terreni alcalini sono favorevoli ad asparagi, fagioli verdi e rape, mentre le bacche preferiscono terreni più aciduli.”
“La ragione per cui abbiamo eseguito questo esperimento non è stato esclusivamente per capire se possono crescere vegetali, anche se è parte di esso” Ha aggiunto Michael Hecht del Jet Propulsion Laboratory “Ma la curiosità è di capire se dei microorganismi potrebbero sopravvivere in quel suolo. Ed in effetti i microbi potrebbero restare in vita al disotto della superficie marziana dove sarebbero protetti dalle radiazioni ultraviolette.”
Anche i risultati provenienti dal forno del TEGA non sono così sorprendenti, soprattutto l’assenza di acqua. Il campione infatti è rimasto molto tempo, quasi 4 Sol, esposto all’atmosfera marziana e quindi il ghiaccio eventualmente presente ha avuto tutto il tempo di sublimare. Nonostante questo erano presenti tracce di vapor acqueo e anidride carbonica. È ormai chiaro che questo terreno ha interagito con l’acqua liquida nel passato.
La missione Phoenix ha ormai raggiunto i 33 Sol (35 giorni terrestri) ed ha superato un terzo della durata prevista. La missione da 457 milioni di dollari ha già inviato a Terra una quantità di dati tale da poter già essere considerata un successo.
“In pratica abbiamo trovato quello che appare la base nutriente per supportare la vita” ha detto Samuel Kournaves, responsabile del Wet Chemistry Laboratory presso la Tufts University “L’esperimento in cui abbiamo aggiunto acqua per creare il fango marziano, ha evidenziato la presenza di magnesio, sodio, potassio e cloruri in un campione proveniente da un paio di centimetri dalla superficie.”
Le basilari forme di vita animale necessitano anche di elementi organici come carbonio, azoto e ossigeno, mentre i vegetali necessitano di diversi altri minerali.
“Il WCL ha trovato un livello di pH compreso fra 8 e 9 comparabile con quello del mare o del bicarbonato di sodio” Ha aggiunto Kournaves “E il suolo alcalino è ospitale verso molti organismi sul nostro pianeta. Se lo avessimo qui potremmo coltivarci tranquillamente dato che non ci sono sostanze tossiche.”
Con l’aggiunta di alcuni elementi fondamentali organici, come quelli che si trovano sulla Terra, molte forme di vita potrebbero prosperare sul terreno marziano.
“Se ci fossimo trovati davanti ad un terreno come l’acido solforico o come la candeggina, avremmo dovuto pensare a organismi molto particolari” ha continuato Kournaves “Ma questo significa che gli organismi che cerchiamo sono molto più convenzionali. Su quel terreno crescerebbero bene gli asparagi, ma non le fragole. I terreni alcalini sono favorevoli ad asparagi, fagioli verdi e rape, mentre le bacche preferiscono terreni più aciduli.”
“La ragione per cui abbiamo eseguito questo esperimento non è stato esclusivamente per capire se possono crescere vegetali, anche se è parte di esso” Ha aggiunto Michael Hecht del Jet Propulsion Laboratory “Ma la curiosità è di capire se dei microorganismi potrebbero sopravvivere in quel suolo. Ed in effetti i microbi potrebbero restare in vita al disotto della superficie marziana dove sarebbero protetti dalle radiazioni ultraviolette.”
Anche i risultati provenienti dal forno del TEGA non sono così sorprendenti, soprattutto l’assenza di acqua. Il campione infatti è rimasto molto tempo, quasi 4 Sol, esposto all’atmosfera marziana e quindi il ghiaccio eventualmente presente ha avuto tutto il tempo di sublimare. Nonostante questo erano presenti tracce di vapor acqueo e anidride carbonica. È ormai chiaro che questo terreno ha interagito con l’acqua liquida nel passato.
La missione Phoenix ha ormai raggiunto i 33 Sol (35 giorni terrestri) ed ha superato un terzo della durata prevista. La missione da 457 milioni di dollari ha già inviato a Terra una quantità di dati tale da poter già essere considerata un successo.
STS-125 News 4.
Atlantis ha il rollover verso il VAB previsto per il 22 agosto e il rollout verso il Pad 39A per il 29 agosto. Attualmente la preparazione prosegue senza intoppi. Si stanno eseguendo le verifiche che seguono l’installazione dei motori principali e delle relative coperture termiche e la funzionalità dei carrelli e di tutte le componenti idrauliche. Anche gli pneumatici del carrello anteriore saranno sostituiti e verranno controllati tutti i cuscinetti.
Altri controlli comprendono il timone ed il relativo freno aerodinamico. A questo proposito sono state verificate le ‘spring tabs’, le mollette d’aggancio che nell’ultima missione abbiamo visto volare via creando un po’ di apprensione. Questo controllo diventerà presto inutile in quanto si sta decidendo per la loro eliminazione dato il minimo ruolo che hanno durante l’ascesa.
Il problema che si pone ora è: toglierle tutte con un certo impegno di tempo, riparare o rimpiazzare quelle difettose o mancanti, oppure volare così senza modificare la situazione?
Su Atlantis ce ne sono 12 rotte e una mancante, su Endeavour siamo a sei rotte e su Discovery (in base ad un primo controllo) ne mancano tre. Rimontarle e ripararle potrebbe essere un lavoro che consumerebbe parte delle due settimane di cuscinetto che ci sono sulla preparazione di Atlantis e comunque il magazzino ha dato l’OK sulla presenza dei ricambi a stock (dato che ogni clip ha una forma leggermente diversa dalle altre) e quindi potrebbe essere più veloce ripararle. Ci vorranno almeno tre settimane per stabilire se la navetta potrà volare così o se sarà necessario intervenire, soprattutto perché a seconda della posizione può servire lo stesso tempo per ripararle o per toglierle e quindi è necessario verificare con cura i tempi e gli eventuali prossimi imprevisti. Lo scopo primario è evitare che possano volare via come nell’ultima missione, ma in ultima analisi la soluzione più veloce potrebbe essere la rimozione di quelle danneggiate. Come vedete è ancora tutto da stabilire.
I booster per Atlantis sono completi e pronti per lo spostamento di baia nel VAB portandoli nella Bay 3. In questo modo si può liberare la baia 1 del VAB per il rientro della MLP, che si trova ancora sul Pad 39A, e iniziare l’11 luglio ad assemblare i booster per la STS-400.
È stata eseguita una modifica sui bulloni esplosivi che trattengono e sganciano i booster dalla piattaforma al momento del lancio perché ultimamente sono stati registrati degli episodi di trattenuta all’accensione.
L’External Tank 127 è al termine della preparazione e alla Michoud Assembly Facility confermano il termine della lavorazione per il weekend. Tutti i vari test delle parti elettriche e dei rivestimenti esterni sono in corso e questo depone a favore di un eventuale anticipo sul serbatoio seguente che porterà ad anticipare il lancio della missione. La chiatta Pegasus è pronta ed è attualmente in viaggio verso MAF dove arriverà il due luglio. Il trasporto dovrebbe iniziare il dieci luglio (anche se si punta all’otto).
Il rollover nel VAB per Endeavour (STS-400) è previsto per il 16 settembre, data in cui Atlantis sarà già sul pad 39A e il rollout verso il pad 39B avverrà il 23 settembre.
Domani, lunedì 30, si passerà all’installazione degli SSME sull’Endeavour e verranno montate anche le coperture termiche. A questo proposito verrà controllato il circuito idraulico di comando delle superfici aerodinamiche per posizionarle a ‘zero’ per facilitare le operazioni. Piccoli controlli sono anche stati eseguiti sugli sportelli degli attacchi dell’ET e dei carrelli, sul recupero scarichi e sull’attacco del braccio di controllo (OBSS).
La APU 1 è stata sostituita per una perdita rilevata nell’ultima missione, e i successivi controlli hanno evidenziato che una determinata valvola aveva possibili problemi di tenuta. Una volta sostituita una guarnizione la perdita pareva persistere. Successivi controlli sull’unità, anche con simulazioni in vuoto e a basse temperature, non hanno più evidenziato il difetto. La soluzione a breve termine è quindi la sostituzione della guarnizione, ma in futuro si passerà a verifiche più approfondite.
Anche l’ET-129 è in perfetta sincronia col programma che prevede una partenza dal MAF il 2 agosto. Il compito più impegnativo ora è il completamento del cablaggio elettrico.
Altri controlli comprendono il timone ed il relativo freno aerodinamico. A questo proposito sono state verificate le ‘spring tabs’, le mollette d’aggancio che nell’ultima missione abbiamo visto volare via creando un po’ di apprensione. Questo controllo diventerà presto inutile in quanto si sta decidendo per la loro eliminazione dato il minimo ruolo che hanno durante l’ascesa.
Il problema che si pone ora è: toglierle tutte con un certo impegno di tempo, riparare o rimpiazzare quelle difettose o mancanti, oppure volare così senza modificare la situazione?
Su Atlantis ce ne sono 12 rotte e una mancante, su Endeavour siamo a sei rotte e su Discovery (in base ad un primo controllo) ne mancano tre. Rimontarle e ripararle potrebbe essere un lavoro che consumerebbe parte delle due settimane di cuscinetto che ci sono sulla preparazione di Atlantis e comunque il magazzino ha dato l’OK sulla presenza dei ricambi a stock (dato che ogni clip ha una forma leggermente diversa dalle altre) e quindi potrebbe essere più veloce ripararle. Ci vorranno almeno tre settimane per stabilire se la navetta potrà volare così o se sarà necessario intervenire, soprattutto perché a seconda della posizione può servire lo stesso tempo per ripararle o per toglierle e quindi è necessario verificare con cura i tempi e gli eventuali prossimi imprevisti. Lo scopo primario è evitare che possano volare via come nell’ultima missione, ma in ultima analisi la soluzione più veloce potrebbe essere la rimozione di quelle danneggiate. Come vedete è ancora tutto da stabilire.
I booster per Atlantis sono completi e pronti per lo spostamento di baia nel VAB portandoli nella Bay 3. In questo modo si può liberare la baia 1 del VAB per il rientro della MLP, che si trova ancora sul Pad 39A, e iniziare l’11 luglio ad assemblare i booster per la STS-400.
È stata eseguita una modifica sui bulloni esplosivi che trattengono e sganciano i booster dalla piattaforma al momento del lancio perché ultimamente sono stati registrati degli episodi di trattenuta all’accensione.
L’External Tank 127 è al termine della preparazione e alla Michoud Assembly Facility confermano il termine della lavorazione per il weekend. Tutti i vari test delle parti elettriche e dei rivestimenti esterni sono in corso e questo depone a favore di un eventuale anticipo sul serbatoio seguente che porterà ad anticipare il lancio della missione. La chiatta Pegasus è pronta ed è attualmente in viaggio verso MAF dove arriverà il due luglio. Il trasporto dovrebbe iniziare il dieci luglio (anche se si punta all’otto).
Il rollover nel VAB per Endeavour (STS-400) è previsto per il 16 settembre, data in cui Atlantis sarà già sul pad 39A e il rollout verso il pad 39B avverrà il 23 settembre.
Domani, lunedì 30, si passerà all’installazione degli SSME sull’Endeavour e verranno montate anche le coperture termiche. A questo proposito verrà controllato il circuito idraulico di comando delle superfici aerodinamiche per posizionarle a ‘zero’ per facilitare le operazioni. Piccoli controlli sono anche stati eseguiti sugli sportelli degli attacchi dell’ET e dei carrelli, sul recupero scarichi e sull’attacco del braccio di controllo (OBSS).
La APU 1 è stata sostituita per una perdita rilevata nell’ultima missione, e i successivi controlli hanno evidenziato che una determinata valvola aveva possibili problemi di tenuta. Una volta sostituita una guarnizione la perdita pareva persistere. Successivi controlli sull’unità, anche con simulazioni in vuoto e a basse temperature, non hanno più evidenziato il difetto. La soluzione a breve termine è quindi la sostituzione della guarnizione, ma in futuro si passerà a verifiche più approfondite.
Anche l’ET-129 è in perfetta sincronia col programma che prevede una partenza dal MAF il 2 agosto. Il compito più impegnativo ora è il completamento del cablaggio elettrico.
sabato 28 giugno 2008
Proton lancia un satellite militare russo.
Alle ore 1:59 italiane del 27 giugno è decollato dal cosmodromo di Baikonur in Kazakhstan dalla rampa 23 nel sito 81 un lanciatore pesante Proton che portava a bordo un carico militare, un satellite di primo allarme contro attacchi missilistici. Il Ministro della Difesa, Anatoli Serdiukov, e il capo delle Forze Spaziali, il generale Vladimir Popovkin, hanno seguito il lancio sul posto.
Gestito dalla Khrunichev, il veicolo top secret è stato inserito alle 9:37 italiane in un’orbita geosincrona a 35'700 km di quota per mezzo di uno stadio orbitale Block DM e secondo l’agenzia Novosti, grazie a questo nuovo satellite, le forze armate russe potranno essere avvertite di qualsiasi attacco missilistico venisse sferrato contro il loro territorio. Questi veicoli si integrano nella rete di difesa che utilizza satelliti del tipo 71Kh6 con riconoscimento ad infrarosso delle tracce dei motori missilistici.
In base alla nomenclatura standard assegnata a questo tipo di satelliti, i vertici militari nomineranno questo esemplare come Kosmos 2440. Si stima che la flotta di satelliti militari russi sia composta da 60-70 unità.
Questo è il primo lancio eseguito dal vettore Proton dopo il fallimento del satellite AMC 14 a marzo, ma lo stadio orbitale era diverso dalla versione Breeze M montata in quella occasione. In quella missione un condotto di scarico dei gas fra un generatore ed una turbo pompa si è spezzato causando lo spegnimento anticipato del motore. Le prossime versioni del Breeze M avranno dei condotti con le pareti più spesse per evitare il ripetersi di questo tipo di problemi. La International Launch Services ha già iniziato le modifiche che saranno applicate fin dal prossimo lancio previsto per fine estate quando partirà l’Inmarsat 4-F3, satellite per telecomunicazioni.
Gestito dalla Khrunichev, il veicolo top secret è stato inserito alle 9:37 italiane in un’orbita geosincrona a 35'700 km di quota per mezzo di uno stadio orbitale Block DM e secondo l’agenzia Novosti, grazie a questo nuovo satellite, le forze armate russe potranno essere avvertite di qualsiasi attacco missilistico venisse sferrato contro il loro territorio. Questi veicoli si integrano nella rete di difesa che utilizza satelliti del tipo 71Kh6 con riconoscimento ad infrarosso delle tracce dei motori missilistici.
In base alla nomenclatura standard assegnata a questo tipo di satelliti, i vertici militari nomineranno questo esemplare come Kosmos 2440. Si stima che la flotta di satelliti militari russi sia composta da 60-70 unità.
Questo è il primo lancio eseguito dal vettore Proton dopo il fallimento del satellite AMC 14 a marzo, ma lo stadio orbitale era diverso dalla versione Breeze M montata in quella occasione. In quella missione un condotto di scarico dei gas fra un generatore ed una turbo pompa si è spezzato causando lo spegnimento anticipato del motore. Le prossime versioni del Breeze M avranno dei condotti con le pareti più spesse per evitare il ripetersi di questo tipo di problemi. La International Launch Services ha già iniziato le modifiche che saranno applicate fin dal prossimo lancio previsto per fine estate quando partirà l’Inmarsat 4-F3, satellite per telecomunicazioni.
Da Solstizio a Solstizio, dall’Antartide a Marte Boreale.
In occasione della quasi coincidenza fra i solstizi terrestri e marziani (21 giugno Terra – 25 giugno Marte) si è tenuta una teleconferenza fra Tucson, in Arizona e la base polare Sud. In quest’occasione il team di Phoenix ha dedicato una fotografia al team di persone che lavora nella base in Antartide. È la foto che mostra l’ombra del lander e della Stereo Surface Imager sul terreno marziano, con quella dell’asta del MET (la stazione metereologica) che, come lo gnomone di una meridiana, nel mezzogiorno punta esattamente verso Nord con il Sole esattamente a Sud. Vuol essere un inno allo spirito di esplorazione che unisce un manipolo di persone nel giorno più scuro del mondo conosciuto che stranamente coincide con il giorno più chiaro del mondo sconosciuto.
Al giorno più lungo su Marte per Phoenix si contrappone il più corto nella base che è posta all’interno del circolo polare antartico, cosa che comporterà la totale assenza di Sole come è ormai da diversi giorni.
Di fatto non potranno ricevere posta tradizionale fino a novembre, ma per fortuna internet e telefono funzionano e quindi le email possono raggiungerli. Questi auguri interplanetari sono arrivati al gruppo di studiosi isolati in mezzo ai ghiacci con una descrizione di quello che sta accadendo su Marte.
E sono festeggiamenti sia per il solstizio invernale a Terra Sud, con la consapevolezza che il Sole inizia a risalire da sotto l’orizzonte e sia per il solstizio estivo a Marte Nord, dove i risultati scientifici sono spettacolari!
I 30 scienziati che partecipavano alla conferenza da Tucson hanno ricevuto in risposta una carrellata di fotografie mozzafiato di aurore e della strumentazione che viene utilizzata tutti i giorni fra i ghiacci polari.
Al giorno più lungo su Marte per Phoenix si contrappone il più corto nella base che è posta all’interno del circolo polare antartico, cosa che comporterà la totale assenza di Sole come è ormai da diversi giorni.
Di fatto non potranno ricevere posta tradizionale fino a novembre, ma per fortuna internet e telefono funzionano e quindi le email possono raggiungerli. Questi auguri interplanetari sono arrivati al gruppo di studiosi isolati in mezzo ai ghiacci con una descrizione di quello che sta accadendo su Marte.
E sono festeggiamenti sia per il solstizio invernale a Terra Sud, con la consapevolezza che il Sole inizia a risalire da sotto l’orizzonte e sia per il solstizio estivo a Marte Nord, dove i risultati scientifici sono spettacolari!
I 30 scienziati che partecipavano alla conferenza da Tucson hanno ricevuto in risposta una carrellata di fotografie mozzafiato di aurore e della strumentazione che viene utilizzata tutti i giorni fra i ghiacci polari.
Barbara Morgan lascia il corpo astronauti NASA.
L’astronauta veterana Barbara R. Morgan ha deciso di abbandonare la NASA e ritornare all’insegnamento presso la Boise State University in Idaho.
La prima docente astronauta ha trascorso 305 ore nello spazio a bordo dello Shuttle Endeavour durante la missione STS-118 ed ha eseguito diversi compiti a bordo, fra cui il comando del braccio robotico, ha dato supporto alle EVA, ha gestito il trasferimento di materiali fra la navetta e la stazione, ha assistito alle procedure di rientro e soprattutto ha tenuto delle lezioni dall’orbita per degli studenti a Terra.
“Barbara ha servito la NASA e l’Astronaut Office con distinzione nel corso della sua carriera” ha detto Steve Lindsey, capo dell’Astronaut Office “Dal programma Teachers in Space alla sua attuale posizione come astronauta pienamente qualificato, ha dimostrato di essere un superbo esempio ed un modello per insegnanti e studenti. Ci mancherà!”.
Barbara Morgan ha servito precedentemente come riserva di Christa McAuliffe nel programma Teacher in Space. La McAuliffe ha perso la vita insieme ai suoi 6 compagni d’avventura nel disastro del Challenger il 28 gennaio 1986. Morgan, che prima di essere scelta come riserva della McAuliffe era una maestra elementare a McCall nell’Idaho, ritornò ad insegnare dopo l’incidente. Venne selezionata per l’addestramento nel 1998 e assegnata alla STS-118 nel 2002.
“È molto difficile lasciare la NASA” ha detto la Morgan “È una grande organizzazione con persone eccezionali che fanno grandi cose. Stiamo tornando sulla Luna e oltre verso Marte. Sono particolarmente orgogliosa che ci siano altri tre professori fra gli astronauti e che ce ne saranno altri nel futuro. Sono anche molto eccitata di andare a lavorare per la Boise State University. Mi piace tutto laggiù e sarà meraviglioso aiutare l’esplorazione lavorando a tempo pieno per l’educazione.”
I tre altri educatori sono gli specialisti di missione Richard Arnold, Joseph Acaba e Dottie Metcalf-Lindenburger e stanno seguendo l’addestramento per delle prossime missioni. Arnold e Acaba sono assegnati alla STS-119 che raggiungerà la ISS nel 2009.
La Morgan entrerà in pianta stabile alla Boise State come Professore Insigne e servirà lo stato dell’Idaho insegnando nei campi di scienza, tecnologia ingegneria e matematica.
I passi fondamentali della carriera di Barbara Morgan saranno disponibili in un video file di NASA Television.
La biografia ufficiale (in inglese) è disponibile qui.
La prima docente astronauta ha trascorso 305 ore nello spazio a bordo dello Shuttle Endeavour durante la missione STS-118 ed ha eseguito diversi compiti a bordo, fra cui il comando del braccio robotico, ha dato supporto alle EVA, ha gestito il trasferimento di materiali fra la navetta e la stazione, ha assistito alle procedure di rientro e soprattutto ha tenuto delle lezioni dall’orbita per degli studenti a Terra.
“Barbara ha servito la NASA e l’Astronaut Office con distinzione nel corso della sua carriera” ha detto Steve Lindsey, capo dell’Astronaut Office “Dal programma Teachers in Space alla sua attuale posizione come astronauta pienamente qualificato, ha dimostrato di essere un superbo esempio ed un modello per insegnanti e studenti. Ci mancherà!”.
Barbara Morgan ha servito precedentemente come riserva di Christa McAuliffe nel programma Teacher in Space. La McAuliffe ha perso la vita insieme ai suoi 6 compagni d’avventura nel disastro del Challenger il 28 gennaio 1986. Morgan, che prima di essere scelta come riserva della McAuliffe era una maestra elementare a McCall nell’Idaho, ritornò ad insegnare dopo l’incidente. Venne selezionata per l’addestramento nel 1998 e assegnata alla STS-118 nel 2002.
“È molto difficile lasciare la NASA” ha detto la Morgan “È una grande organizzazione con persone eccezionali che fanno grandi cose. Stiamo tornando sulla Luna e oltre verso Marte. Sono particolarmente orgogliosa che ci siano altri tre professori fra gli astronauti e che ce ne saranno altri nel futuro. Sono anche molto eccitata di andare a lavorare per la Boise State University. Mi piace tutto laggiù e sarà meraviglioso aiutare l’esplorazione lavorando a tempo pieno per l’educazione.”
I tre altri educatori sono gli specialisti di missione Richard Arnold, Joseph Acaba e Dottie Metcalf-Lindenburger e stanno seguendo l’addestramento per delle prossime missioni. Arnold e Acaba sono assegnati alla STS-119 che raggiungerà la ISS nel 2009.
La Morgan entrerà in pianta stabile alla Boise State come Professore Insigne e servirà lo stato dell’Idaho insegnando nei campi di scienza, tecnologia ingegneria e matematica.
I passi fondamentali della carriera di Barbara Morgan saranno disponibili in un video file di NASA Television.
La biografia ufficiale (in inglese) è disponibile qui.
Phoenix – Sol 32.
Il braccio robotico di Phoenix ha raschiato il substrato di ghiaccio trovato nell’area “Wonderland” e ha confermato che tutti i vari tipi di campione (terreno, terreno gelato e ghiaccio), possono essere prelevati da un unico scavo. Gli scienziati sono inoltre sicuri di aver definito una stratigrafia completa del terreno nello scavo esteso chiamato “Snow White”.
Raschiando la superficie gelata, il braccio robotico ha dimostrato di poter spianare il passaggio fra terreno e ghiaccio, scoprendo la superficie gelata sottostante. Gli scienziati possono ora procedere con il progetto di raccogliere e raschiare i vari campioni da analizzare con i vari strumenti della sonda e stabilire se il ghiaccio sia mai stato in forma liquida, magari in periodi con un clima più temperato.
Questo è un altro passo incoraggiante per raggiungere gli obiettivi che Phoenix si era prefissa, il principale dei quali era proprio lo studio della storia dell’acqua su Marte in tutte le sue fasi e quindi la ricerca di possibili condizioni favorevoli alla vita.
Per quanto riguarda le condizioni meteorologiche non si hanno più informazioni dalla stazione canadese ormai dal Sol 24. Probabilmente si preferisce occupare la banda disponibile con altri dati più importanti.
In foto si vede lo scavo Snow White che è diviso in Snow White 1 (la passata di sinistra), Snow White 2 (la passata di destra) e Snow White 3 che sarebbe la raschiatura fatta nel centro. La profondità di quest’ultimo punto arriva a circa 5 cm rispetto al livello del terreno circostante.
Una curiosità. I bordi colorati delle ombre derivano dal fatto che la foto è stata eseguita in tre fasi diverse per i 3 colori fondamentali, quindi fra la ripresa di un colore e quella successiva, l’ombra si è leggermente spostata. Se guardate l’immagine con gli occhiali per anaglifi (quelli 3D con lenti rosse e blu) noterete uno strano effetto di ‘distacco’ dell’ombra dal terreno.
Fonte: siti ufficiali.
Raschiando la superficie gelata, il braccio robotico ha dimostrato di poter spianare il passaggio fra terreno e ghiaccio, scoprendo la superficie gelata sottostante. Gli scienziati possono ora procedere con il progetto di raccogliere e raschiare i vari campioni da analizzare con i vari strumenti della sonda e stabilire se il ghiaccio sia mai stato in forma liquida, magari in periodi con un clima più temperato.
Questo è un altro passo incoraggiante per raggiungere gli obiettivi che Phoenix si era prefissa, il principale dei quali era proprio lo studio della storia dell’acqua su Marte in tutte le sue fasi e quindi la ricerca di possibili condizioni favorevoli alla vita.
Per quanto riguarda le condizioni meteorologiche non si hanno più informazioni dalla stazione canadese ormai dal Sol 24. Probabilmente si preferisce occupare la banda disponibile con altri dati più importanti.
In foto si vede lo scavo Snow White che è diviso in Snow White 1 (la passata di sinistra), Snow White 2 (la passata di destra) e Snow White 3 che sarebbe la raschiatura fatta nel centro. La profondità di quest’ultimo punto arriva a circa 5 cm rispetto al livello del terreno circostante.
Una curiosità. I bordi colorati delle ombre derivano dal fatto che la foto è stata eseguita in tre fasi diverse per i 3 colori fondamentali, quindi fra la ripresa di un colore e quella successiva, l’ombra si è leggermente spostata. Se guardate l’immagine con gli occhiali per anaglifi (quelli 3D con lenti rosse e blu) noterete uno strano effetto di ‘distacco’ dell’ombra dal terreno.
Fonte: siti ufficiali.
I satelliti europei Cluster ascoltano i suoni della Terra.
La prima cosa che probabilmente una razza aliena può aver ascoltato provenire dalla Terra sono cinguettii e fischi, qualcosa di simile al robot C1-P8 di Guerre Stellari. In realtà questi sono i suoni che accompagnano le Aurore. Grazie alla missione Cluster dell’ESA gli scienziati possono ora capire a fondo queste emissioni e, in futuro, cercare mondi alieni studiando i loro suoni.
Gli scienziati chiamano queste emissioni radio le Auroral Kilometric Radiation (AKR) e vengono generate ad alta quota dalle stesse particelle cariche che generano le aurore. Per decadi gli scienziati hanno ipotizzato che queste onde radio viaggiassero nello spazio su coni ad ampiezza costante, come la luce generata da una torcia elettrica, ma grazie a Cluster, gli astronomi hanno capito che non è proprio così.
Analizzando ben 12'000 diversi impulsi dell’AKR, un gruppo di astronomi ha determinato che l’emissione avviene su uno stretto piano, come se coprissimo la nostra torcia lasciando uscire una sottile lama di luce.
“Possiamo ora determinare esattamente la provenienza di queste emissioni” ha detto Robert Mutel della University of Iowa che faceva parte del gruppo di studio che ha analizzato i dati negli ultimi tre anni. Per ciascun impulso dell’AKR analizzato, hanno definito con precisione il punto di partenza nel campo magnetico terrestre, che ha una dimensione di alcune decine di chilometri ed è posto alcune migliaia di chilometri al disopra delle Aurore stesse.
“Questo risultato è stato possibile grazie ai 4 satelliti della missione Cluster” ha aggiunto Mutel.
La missione Cluster che studia l’interazione fra il vento solare e la magnetosfera terrestre, è composta da quattro satelliti quasi identici che viaggiano in formazione su un’orbita compresa fra 19'000 e 119'000 km di quota e questa configurazione ha permesso di cronometrare con precisione il momento in cui ogni satellite attraversava l’AKR. Con queste informazioni è stato possibile triangolare il punto di origine in modo analogo al funzionamento dei sistemi di navigazione GPS.
AKR è stata scoperta dai satelliti nei primi anni settanta e viene bloccata dalla ionosfera, impedendole di giungere a Terra. È una fortuna che l’AKR rimanga fuori dall’atmosfera perché potrebbe annientare tutte le trasmissioni delle nostre stazioni radio. È 10'000 volte più potente del più potente radar militare. Ogni volta che c’è un’Aurora si ha l’AKR e questo include anche gli altri pianeti, infatti le sonde che hanno raggiunto e superato Giove e Saturno hanno rilevato queste emissioni in concomitanza con le aurore presenti su questi giganti gassosi.
E queste informazioni permettono di cercare pianeti intorno ad altre stelle.
Benché la ricerca dell’AKR proveniente da pianeti extrasolari richiederà radiotelescopi più grandi di quelli esistenti, questi strumenti sono già sui tavoli da disegno dei progettisti ed una volta che un pianeta è stato identificato, sarà possibile calcolare il tempo di rotazione grazie alla variazione di questa radiazione.
Si potranno inoltre studiare i campi magnetici delle altre stelle che possono essere di migliaia di volte più potenti di quello del Sole e generano radiazioni simili all’AKR.
Si è quindi aperta una nuova finestra che permetterà agli astronomi di studiare stelle e pianeti da un altro punto di vista.
A questa pagina trovate un’animazione flash con la registrazione del suono dell’AKR.
Fonte: ESA.
Gli scienziati chiamano queste emissioni radio le Auroral Kilometric Radiation (AKR) e vengono generate ad alta quota dalle stesse particelle cariche che generano le aurore. Per decadi gli scienziati hanno ipotizzato che queste onde radio viaggiassero nello spazio su coni ad ampiezza costante, come la luce generata da una torcia elettrica, ma grazie a Cluster, gli astronomi hanno capito che non è proprio così.
Analizzando ben 12'000 diversi impulsi dell’AKR, un gruppo di astronomi ha determinato che l’emissione avviene su uno stretto piano, come se coprissimo la nostra torcia lasciando uscire una sottile lama di luce.
“Possiamo ora determinare esattamente la provenienza di queste emissioni” ha detto Robert Mutel della University of Iowa che faceva parte del gruppo di studio che ha analizzato i dati negli ultimi tre anni. Per ciascun impulso dell’AKR analizzato, hanno definito con precisione il punto di partenza nel campo magnetico terrestre, che ha una dimensione di alcune decine di chilometri ed è posto alcune migliaia di chilometri al disopra delle Aurore stesse.
“Questo risultato è stato possibile grazie ai 4 satelliti della missione Cluster” ha aggiunto Mutel.
La missione Cluster che studia l’interazione fra il vento solare e la magnetosfera terrestre, è composta da quattro satelliti quasi identici che viaggiano in formazione su un’orbita compresa fra 19'000 e 119'000 km di quota e questa configurazione ha permesso di cronometrare con precisione il momento in cui ogni satellite attraversava l’AKR. Con queste informazioni è stato possibile triangolare il punto di origine in modo analogo al funzionamento dei sistemi di navigazione GPS.
AKR è stata scoperta dai satelliti nei primi anni settanta e viene bloccata dalla ionosfera, impedendole di giungere a Terra. È una fortuna che l’AKR rimanga fuori dall’atmosfera perché potrebbe annientare tutte le trasmissioni delle nostre stazioni radio. È 10'000 volte più potente del più potente radar militare. Ogni volta che c’è un’Aurora si ha l’AKR e questo include anche gli altri pianeti, infatti le sonde che hanno raggiunto e superato Giove e Saturno hanno rilevato queste emissioni in concomitanza con le aurore presenti su questi giganti gassosi.
E queste informazioni permettono di cercare pianeti intorno ad altre stelle.
Benché la ricerca dell’AKR proveniente da pianeti extrasolari richiederà radiotelescopi più grandi di quelli esistenti, questi strumenti sono già sui tavoli da disegno dei progettisti ed una volta che un pianeta è stato identificato, sarà possibile calcolare il tempo di rotazione grazie alla variazione di questa radiazione.
Si potranno inoltre studiare i campi magnetici delle altre stelle che possono essere di migliaia di volte più potenti di quello del Sole e generano radiazioni simili all’AKR.
Si è quindi aperta una nuova finestra che permetterà agli astronomi di studiare stelle e pianeti da un altro punto di vista.
A questa pagina trovate un’animazione flash con la registrazione del suono dell’AKR.
Fonte: ESA.
venerdì 27 giugno 2008
Phoenix - Sol 31.
Appena giunti i primi risultati del test ‘umido’ eseguito sul terreno marziano, è stato come se il team scientifico di Terra avesse vinto la lotteria!
“Siamo inondati da dati sulla chimica” ha detto Michael Hecht, responsabile del MECA instrument presso il Jet Propulsion Laboratory “Stiamo cercando di capire a fondo la chimica derivante dall’esperimento che ha comportato lo scioglimento del suolo marziano in acqua. Di tutti i risultati che stiamo ottenendo si cerca di vedere quali aspetti di questo terreno potrebbero supportare la vita.”
“È la prima volta in assoluto che viene eseguito un esperimento di soluzione acquosa al di fuori del nostro pianeta” ha aggiunto Sam Kounaves, suo collega della Tufts University “Attualmente abbiamo completato l’80% del primo esperimento e rimangono ancora 3 celle in cui iniziare da capo con altri campioni. L’alcalinità del suolo in questa zona è molto marcata e assomiglia molto ai campioni prelevati nelle valli antartiche. Basta scendere di pochi centimetri dalla superficie e si raggiunge una decisa alcalinità, con pH fra otto e nove. Abbiamo rilevato anche un’ampia varietà di sali che non siamo ancora riusciti ad identificare per mancanza di tempo, ma certamente includono magnesio, sodio, potassio e vari clorati.”
“Questa è un’ulteriore evidenza di acqua proprio per la presenza di tutti questi sali.” Ha inoltre aggiunto Kounaves “Abbiamo trovato un ragionevole numero di sostanze nutritive, composti chimici necessari alla vita così come la conosciamo. Stiamo quindi giungendo alla conclusione che la cosa più sorprendente delle nostre analisi è che sotto molti aspetti, come la mineralogia, Marte non è un mondo così alieno, ma è molto simile alla Terra.”
Ma abbiamo anche i primi risultati di un’altra prima volta: la ‘cottura’ del terreno ad oltre 1000°C eseguita nel TEGA, un esperimento mai eseguito su un altro corpo celeste.
Gli scienziati hanno iniziato le analisi dei gas sprigionati alle varie temperature per identificare la composizione del terreno, ma queste analisi sono molto complesse e richiedono settimane per il completamento.
Ma sappiamo già che “I dati scientifici che provengono dallo strumento sono semplicemente spettacolari!” ha detto William Boynton della University of Arizona, capo progetto TEGA. “A questo punto possiamo dire che nel passato il suolo ha chiaramente interagito con acqua. Non possiamo stabilire se l’interazione sia avvenuta in questa zona o se è avvenuta altrove e se questo terreno si è spostato qui grazie al vento.
Leslie Tamppari, scienziato del JPL, ha fatto il punto di ciò che Phoenix ha raggiunto nei suoi primi 30 Sol della missione e ha chiarito i progetti futuri.
La macchina da ripresa Stereo Surface Imager ha già ripreso il 55% del panorama ad alta risoluzione della zona d’atterraggio. Sono stati analizzati due campioni di terreno nel microscopio ottico, e uno ciascuno per TEGA e Wet Chemistry. Sono stati raccolti dati quotidiani sul meteo rilevando nuvole, polvere, venti, temperature e pressione atmosferica, senza contare le prime rilevazioni atmosferiche notturne.
Le fotocamere del lander hanno ripreso dei frammenti bianchi riuscendo a capire che si trattava di ghiaccio d’acqua grazie alla loro scomparsa e il braccio robotico sta continuando a scavare.
“Crediamo che questo sia il posto migliore per la creazione di un profilo chimico/fisico della superficie di Marte in tutti i suoi aspetti.” Ha aggiunto Tamppari “E questi sono i risultati che volevamo raggiungere quando abbiamo proposto la missione parecchi anni fa. Volevamo un suolo come questo in cui si possa analizzare il terreno fino a raggiungere lo strato ghiacciato.”
In figura le 4 fasi del funzionamento del WCL (Wet Chemistry Laboratory).
- Scioglimento del ghiaccio.
- Caricamento acqua.
- Caricamento campione.
- Inserimento del campione nel vano e inizio dell’analisi.
Nella foto: una ripresa della benna del braccio robotico per mezzo della sua fotocamera. La fila di frammenti posizionata sul bordo è stata portata a 11 mm dall’obiettivo che è stato commutato su funzionalità macro.
Fonte: siti ufficiali.
“Siamo inondati da dati sulla chimica” ha detto Michael Hecht, responsabile del MECA instrument presso il Jet Propulsion Laboratory “Stiamo cercando di capire a fondo la chimica derivante dall’esperimento che ha comportato lo scioglimento del suolo marziano in acqua. Di tutti i risultati che stiamo ottenendo si cerca di vedere quali aspetti di questo terreno potrebbero supportare la vita.”
“È la prima volta in assoluto che viene eseguito un esperimento di soluzione acquosa al di fuori del nostro pianeta” ha aggiunto Sam Kounaves, suo collega della Tufts University “Attualmente abbiamo completato l’80% del primo esperimento e rimangono ancora 3 celle in cui iniziare da capo con altri campioni. L’alcalinità del suolo in questa zona è molto marcata e assomiglia molto ai campioni prelevati nelle valli antartiche. Basta scendere di pochi centimetri dalla superficie e si raggiunge una decisa alcalinità, con pH fra otto e nove. Abbiamo rilevato anche un’ampia varietà di sali che non siamo ancora riusciti ad identificare per mancanza di tempo, ma certamente includono magnesio, sodio, potassio e vari clorati.”
“Questa è un’ulteriore evidenza di acqua proprio per la presenza di tutti questi sali.” Ha inoltre aggiunto Kounaves “Abbiamo trovato un ragionevole numero di sostanze nutritive, composti chimici necessari alla vita così come la conosciamo. Stiamo quindi giungendo alla conclusione che la cosa più sorprendente delle nostre analisi è che sotto molti aspetti, come la mineralogia, Marte non è un mondo così alieno, ma è molto simile alla Terra.”
Ma abbiamo anche i primi risultati di un’altra prima volta: la ‘cottura’ del terreno ad oltre 1000°C eseguita nel TEGA, un esperimento mai eseguito su un altro corpo celeste.
Gli scienziati hanno iniziato le analisi dei gas sprigionati alle varie temperature per identificare la composizione del terreno, ma queste analisi sono molto complesse e richiedono settimane per il completamento.
Ma sappiamo già che “I dati scientifici che provengono dallo strumento sono semplicemente spettacolari!” ha detto William Boynton della University of Arizona, capo progetto TEGA. “A questo punto possiamo dire che nel passato il suolo ha chiaramente interagito con acqua. Non possiamo stabilire se l’interazione sia avvenuta in questa zona o se è avvenuta altrove e se questo terreno si è spostato qui grazie al vento.
Leslie Tamppari, scienziato del JPL, ha fatto il punto di ciò che Phoenix ha raggiunto nei suoi primi 30 Sol della missione e ha chiarito i progetti futuri.
La macchina da ripresa Stereo Surface Imager ha già ripreso il 55% del panorama ad alta risoluzione della zona d’atterraggio. Sono stati analizzati due campioni di terreno nel microscopio ottico, e uno ciascuno per TEGA e Wet Chemistry. Sono stati raccolti dati quotidiani sul meteo rilevando nuvole, polvere, venti, temperature e pressione atmosferica, senza contare le prime rilevazioni atmosferiche notturne.
Le fotocamere del lander hanno ripreso dei frammenti bianchi riuscendo a capire che si trattava di ghiaccio d’acqua grazie alla loro scomparsa e il braccio robotico sta continuando a scavare.
“Crediamo che questo sia il posto migliore per la creazione di un profilo chimico/fisico della superficie di Marte in tutti i suoi aspetti.” Ha aggiunto Tamppari “E questi sono i risultati che volevamo raggiungere quando abbiamo proposto la missione parecchi anni fa. Volevamo un suolo come questo in cui si possa analizzare il terreno fino a raggiungere lo strato ghiacciato.”
In figura le 4 fasi del funzionamento del WCL (Wet Chemistry Laboratory).
- Scioglimento del ghiaccio.
- Caricamento acqua.
- Caricamento campione.
- Inserimento del campione nel vano e inizio dell’analisi.
Nella foto: una ripresa della benna del braccio robotico per mezzo della sua fotocamera. La fila di frammenti posizionata sul bordo è stata portata a 11 mm dall’obiettivo che è stato commutato su funzionalità macro.
Fonte: siti ufficiali.
giovedì 26 giugno 2008
Phoenix - Sol 30.
Il campione di suolo marziano è nella prima cella del Wet Chemistry Laboratory che fa parte del Microscopy, Electrochemistry and Conductivity Analyzer ed iniziano finalmente le misurazioni di acidità e basicità del terreno.
Queste analisi servono per determinare se il ghiaccio presente sotto la superficie si sia mai sciolto e soprattutto se il terreno abbia altre caratteristiche favorevoli allo sviluppo della vita.
La discussione si sta però spostando sul TEGA, il sistema di fornelletti per identificare la composizione chimica del terreno. È necessario stabilire quale sarà il prossimo campione da analizzare, soprattutto in seguito ad alcuni problemi riscontrati nello strumento.
Attualmente gli scienziati stanno analizzando i dati che provengono dal primo esame della parte di suolo inserita nella prima cella. Delle otto celle a disposizione, la prima ha terminato il suo uso, mentre la seconda ha avuto un problema all’apertura degli sportellini di caricamento dei campioni.
La brutta notizia è che per un possibile problema meccanico, altre 3 celle potrebbero avere lo stesso malfunzionamento, mentre le rimanenti 3 dovrebbero consentire l’apertura completa di almeno una porticina.
Pare che non sia stato considerato un potenziale problema di interferenza fra porte vicine poste in celle contigue, quindi gli unici sportelli che potranno aprirsi dovrebbero essere quelli perimetrali.
Si tenterà comunque di caricare anche le celle malfunzionanti attraverso i pochi millimetri di spazio disponibile nelle porticine e si lasceranno le celle con maggior apertura all’analisi del ghiaccio.
“I test che abbiamo eseguito nei giorni scorsi sul simulatore a Terra hanno dimostrato che il braccio robotico riesce ad inserire il materiale simulato nelle celle, anche in quella configurazione sfavorevole” ha detto William Boynton della University of Arizona di Tucson, responsabile del TEGA. “Contiamo di risparmiare le celle che si apriranno meglio per l’analisi del ghiaccio”.
Per riuscire a far entrare il campione nel primo forno sono state utilizzate, per quattro giorni, le vibrazioni generate da un motore. Pare che questo abbia provocato un corto circuito nel cablaggio di quel forno, cosa che preoccupa gli scienziati e che consiglia di utilizzare gli altri forni con molta cautela.
Verrà quindi utilizzato il sistema di spargere i campioni sui forni invece di versarli compatti, per evitare di dover usare nuovamente le vibrazioni in modo massiccio per far superare i filtri d’accesso al materiale sotto test.
Queste analisi servono per determinare se il ghiaccio presente sotto la superficie si sia mai sciolto e soprattutto se il terreno abbia altre caratteristiche favorevoli allo sviluppo della vita.
La discussione si sta però spostando sul TEGA, il sistema di fornelletti per identificare la composizione chimica del terreno. È necessario stabilire quale sarà il prossimo campione da analizzare, soprattutto in seguito ad alcuni problemi riscontrati nello strumento.
Attualmente gli scienziati stanno analizzando i dati che provengono dal primo esame della parte di suolo inserita nella prima cella. Delle otto celle a disposizione, la prima ha terminato il suo uso, mentre la seconda ha avuto un problema all’apertura degli sportellini di caricamento dei campioni.
La brutta notizia è che per un possibile problema meccanico, altre 3 celle potrebbero avere lo stesso malfunzionamento, mentre le rimanenti 3 dovrebbero consentire l’apertura completa di almeno una porticina.
Pare che non sia stato considerato un potenziale problema di interferenza fra porte vicine poste in celle contigue, quindi gli unici sportelli che potranno aprirsi dovrebbero essere quelli perimetrali.
Si tenterà comunque di caricare anche le celle malfunzionanti attraverso i pochi millimetri di spazio disponibile nelle porticine e si lasceranno le celle con maggior apertura all’analisi del ghiaccio.
“I test che abbiamo eseguito nei giorni scorsi sul simulatore a Terra hanno dimostrato che il braccio robotico riesce ad inserire il materiale simulato nelle celle, anche in quella configurazione sfavorevole” ha detto William Boynton della University of Arizona di Tucson, responsabile del TEGA. “Contiamo di risparmiare le celle che si apriranno meglio per l’analisi del ghiaccio”.
Per riuscire a far entrare il campione nel primo forno sono state utilizzate, per quattro giorni, le vibrazioni generate da un motore. Pare che questo abbia provocato un corto circuito nel cablaggio di quel forno, cosa che preoccupa gli scienziati e che consiglia di utilizzare gli altri forni con molta cautela.
Verrà quindi utilizzato il sistema di spargere i campioni sui forni invece di versarli compatti, per evitare di dover usare nuovamente le vibrazioni in modo massiccio per far superare i filtri d’accesso al materiale sotto test.
mercoledì 25 giugno 2008
Phoenix - Sol 29.
Durante il Sol 29 la benna del braccio robotico ha inserito una dose di terreno nel primo degli imbuti di carico del Wet Chemistry Laboratory. Nella foto si vede lo strumento sotto la benna con i 4 imbuti sulla destra, riparato ciascuno da una larga griglia.
L'analisi vera e propria è prevista per il Sol 30.
Piccola nota di colore.
Ci sono già oltre 26'600 utenti che seguono Phoenix su Twitter (fra cui ci sono anch'io).
Avendo sentito che il 25 giugno (Sol 30) sarebbe stato il solstizio estivo su Marte, l'ho chiesto direttamente a Phoenix e lei, gentilmente, mi ha risposto, confermandomi la cosa...
E un augurio di buona estate marziana giunge direttamente dalla sonda a tutti voi che seguite la missione...
L'analisi vera e propria è prevista per il Sol 30.
Piccola nota di colore.
Ci sono già oltre 26'600 utenti che seguono Phoenix su Twitter (fra cui ci sono anch'io).
Avendo sentito che il 25 giugno (Sol 30) sarebbe stato il solstizio estivo su Marte, l'ho chiesto direttamente a Phoenix e lei, gentilmente, mi ha risposto, confermandomi la cosa...
E un augurio di buona estate marziana giunge direttamente dalla sonda a tutti voi che seguite la missione...
martedì 24 giugno 2008
Nuovi candidati astronauti dell'ESA.
L’Ente Spaziale Europeo ha appena chiuso il bando di concorso per diventare astronauta. È il primo dal 1992. In tutto sono giunte 8413 domande da tutta Europa e di queste il 16% sono donne.
Questa è la distribuzione per nazione.
Nazione........n°......%...uomini..donne...2a citt.
Austria.......210....2.5%....195.....23........8
Belgio........253....3.0%....224.....37........8
Danimarca......35....0.4%.....34......5........4
Finlandia.....336....4.0%....283.....58........5
Francia......1860...22.1%...1616....302.......58
Germania.....1798...21.4%...1523....310.......35
Grecia........159....1.9%....152.....21.......14
Irlanda.......128....1.5%....110.....29.......11
Italia........927...11.0%....815....151.......39
Lussemburgo....14....0.2%.....14......0........0
Norvegia.......74....0.9%.....67......9........2
Olanda........203....2.4%....175.....30........2
Portogallo....210....2.5%....192.....28.......10
Regno Unito...822....9.8%....697....167.......42
Spagna........789....9.4%....707....103.......21
Svezia........172....2.0%....156.....25........9
Svizzera......351....4.2%....325.....52.......26
Altri..........72....0.9%....301.....80......309
Totale.......8413..100.0%...7586...1430......603
2a citt. indica i candidati con seconda cittadinanza in quella nazione.
L'European Astronaut Centre (EAC) di Colonia, in Germania, farà una prima selezione, dopodiché ci sarà la prima prova per gli aspiranti astronauti: il test psico-attitudinale.
Chi sarà il prossimo collega di Paolo Nespoli?
Questa è la distribuzione per nazione.
Nazione........n°......%...uomini..donne...2a citt.
Austria.......210....2.5%....195.....23........8
Belgio........253....3.0%....224.....37........8
Danimarca......35....0.4%.....34......5........4
Finlandia.....336....4.0%....283.....58........5
Francia......1860...22.1%...1616....302.......58
Germania.....1798...21.4%...1523....310.......35
Grecia........159....1.9%....152.....21.......14
Irlanda.......128....1.5%....110.....29.......11
Italia........927...11.0%....815....151.......39
Lussemburgo....14....0.2%.....14......0........0
Norvegia.......74....0.9%.....67......9........2
Olanda........203....2.4%....175.....30........2
Portogallo....210....2.5%....192.....28.......10
Regno Unito...822....9.8%....697....167.......42
Spagna........789....9.4%....707....103.......21
Svezia........172....2.0%....156.....25........9
Svizzera......351....4.2%....325.....52.......26
Altri..........72....0.9%....301.....80......309
Totale.......8413..100.0%...7586...1430......603
2a citt. indica i candidati con seconda cittadinanza in quella nazione.
L'European Astronaut Centre (EAC) di Colonia, in Germania, farà una prima selezione, dopodiché ci sarà la prima prova per gli aspiranti astronauti: il test psico-attitudinale.
Chi sarà il prossimo collega di Paolo Nespoli?
Definito il calendario delle ultime missioni Shuttle.
Abbiamo una proiezione aggiornata delle possibili date e caratteristiche delle ultime 10 missioni Space Shuttle. Diverse curiosità attendono questi ultimi viaggi della Navetta.
STS-125 Atlantis. Lancio NET 8 ottobre 2008.
La missione verso Hubble è slittata dalla precedente data di agosto a causa del ritardo nella preparazione dei serbatoi esterni e attualmente è prevista non appena Endeavour (per la eventuale missione di soccorso STS-400) raggiungerà la rampa 39B. Anche le riparazioni ai condotti di scarico del pad 39A saranno completate per il lancio.
STS-126 Endeavour. Lancio NET 10 novembre 2008.
Questa missione chiamata ULF-2 porterà per l’ultima volta il Multi Purpose Logistic Module (MPLM) Leonardo a bordo della ISS. Sarà un volo logistico per il trasporto di rifornimenti ed attrezzature. Porterà in orbita Sandra Magnus come nuovo componente della Expedition 18 e riporterà a Terra Gregory Chamitoff.
STS-119 Discovery. Lancio NET 12 febbraio 2009.
Missione già prevista per il trasporto dell’ultimo gruppo di pannelli solari della ISS, l’elemento Truss S6. Verranno anche eseguiti esperimenti sulle vibrazioni al lancio e sui flussi di plasma al rientro della navetta. Porterà in orbita Koichi Wakata come nuovo componente della Expedition 18 e riporterà a Terra Sandra Magnus.
STS-127 Endeavour. Lancio NET 21 maggio 2009.
È la terza missione per il laboratorio giapponese e con la piattaforma per gli esperimenti esterni completerà il modulo KIBO. Saranno necessarie ben cinque passeggiate spaziali in 15 giorni di missione. Grandissima novità sarà la possibilità che si abbia l’attracco di una Soyuz mentre uno Shuttle è ormeggiato alla stazione. Il 27 maggio è infatti previsto l’arrivo della Soyuz TMA-15 con a bordo la Expedition 19, che dovrà eseguire le manovre di attracco con la presenza di Endeavour. È una possibilità ancora in discussione sia da parte del MOD (Mission Operations Directive) che dal GJOP (Generic Joint Operations Panel), ma pare che potrà essere realizzata grazie anche al progressivo incremento delle dimensioni della ISS che permette una distanza di sicurezza fra i due veicoli che hanno i boccaporti di attracco alle estremità della stazione. Da considerare soprattutto che le date disponibili per completare il programma Shuttle entro il 2010 iniziano ad essere strette e quindi è necessario adattarsi e scendere a compromessi. Porterà in orbita un componente della Expedition 19, il colonnello Timothy Kopra e riporterà a Terra l'ultimo componente della Expedition 18, Koichi Wakata.
STS-128 Atlantis. Lancio NET 30 luglio 2009.
Missione riassegnata ad Atlantis dopo la decisione di sottoporlo alla manutenzione approfondita che gli orbiter devono subire ogni otto/dieci voli. In un primo momento si pensava di risparmiare il costo di questa manutenzione tenendo Atlantis come scorta di pezzi di ricambio per gli altri due orbiter, ma fortunatamente alla NASA hanno preferito avere la flotta in completa efficienza per non rischiare un turnover troppo stretto su sole due navette nelle ultime missioni. Verrà portato a bordo della ISS il modulo logistico MPLM Donatello e deve ancora essere deciso se lasciarlo come modulo permanente sulla Stazione Spaziale o no. Certamente sarebbe un laboratorio ed uno spazio aggiuntivo per l’equipaggio che passerà a 6 componenti proprio durante la Expedition 19. La durata sarà minore delle altre missioni a causa della mancanza del sistema di alimentazione Stazione-Shuttle (il SSPTS - Station-To-Shuttle Power Transfer System) e quindi il tempo di ormeggio della navetta sarà di undici giorni. Verranno eseguite due EVA. Atlantis trasporterà a bordo il sistema TriDAR della canadese Neptec per ottimizzare ed automatizzare le procedure di attracco, mentre gli esperimenti europei EuTEF e MISSE rientreranno a Terra. Farà un avvicendamento di equipaggio per la Expedition 19 lasciando Nicole Stott e riportando a terra il colonnello Timothy Kopra.
STS-129 Discovery. Lancio NET 15 ottobre 2009.
La missione prevede il trasporto sulla ISS degli EXPRESS Logistics Carriers ELC1 e ELC2, vere e proprie piattaforme non pressurizzate per esperimenti. Permettono di alloggiare diversi utilizzatori fornendoli di allacci elettrici, dati e tutto ciò che necessitano nell’ambiente esterno. Sarà anche l’ultimo volo Shuttle che farà un avvicendamento di equipaggio sulla ISS lasciando Jeff Williams e portando a Terra Robert Thirsk della Expedition 20.
STS-130 Endeavour. Lancio NET 10 dicembre 2009.
Qui sono previsti gli ultimi moduli della ISS, vale a dire il Nodo 3 e la Cupola, uno dei più incredibili moduli che saranno presenti sulla stazione. Si tratta di una vera e propria cupola con 7 finestre per avere una visuale a 2 pigreco steradianti (semisfera) sullo spazio. Inizialmente era previsto per la STS-132, ma è stata anticipata.
STS-131 Atlantis. Lancio NET 11 febbraio 2010.
Trentaduesimo ed ultimo viaggio previsto per Atlantis che eseguirà un volo logistico portando a bordo il MPLM Raffaello. Anche questo potrebbe potenzialmente diventare un modulo permanente della ISS. È necessario però una modifica al rivestimento esterno, aggiungendo una schermatura verso i MMOD (Micro Meteoroids Orbital Debris) ed una implementazione degli impianti di bordo per un migliore interfacciamento con la stazione. Modifiche da eseguire anche al modulo Donatello se viene deciso di lasciarlo permanentemente sulla stazione. Anche questa possibilità è in discussione.
STS-132 Discovery. Lancio NET 8 aprile 2010.
Trentottesimo ed ultimo volo per il Discovery. Questa missione logistica aggiuntiva è, come la seguente, ancora da approvare, ma viene già data per scontata. Dovrà trasportare MRM1 (Mini Research Module 1) e il ICC-VLD (Integrated Cargo Carrier Vertical Light Deployable).
STS-133 Endeavour. Lancio NET 31 maggio 2010.
Venticinquesimo ed ultimo volo per Endeavour. Sarà anche il 133° ed ultimo viaggio per lo Space Shuttle. Trasporterà gli EXPRESS Logistics Carriers ELC3 e ELC4.
Per quanto riguarda tutte le eventuali missioni di salvataggio (le STS-3xx) vengono spostate alla data dalla missione seguente (cioè quella da cui derivano), dato che la cadenza dei vari lanci è tale da permettere la permanenza in orbita dell’equipaggio esteso sulla ISS fino alla data successiva: questo permette di effettuare normalmente la missione, completa di payload, ma con equipaggio ridotto per permettere il rientro dei "naufraghi" dalla ISS. Di conseguenza le missioni LON STS-3xx spariscono.
Le notizie riportano questo, ma trovo difficile da credere che possa essere completata una missione con equipaggio ridotto a 4 elementi che contemporaneamente debba salvare i 7 naufraghi della missione precedente.
Unica eccezione resta la STS-400 che ha una possibile partenza molto ravvicinata alla STS-125 a causa della irraggiungibilità della ISS come porto sicuro d’attesa per quest’ultima.
Rimane ancora il punto interrogativo su una eventuale missione aggiuntiva che possa portare sulla stazione spaziale l’esperimento AMS, ma questo discorso deve ancora superare grossi problemi politico/economici.
Nota: NET = Not Earlier Than – Non Prima Del
STS-125 Atlantis. Lancio NET 8 ottobre 2008.
La missione verso Hubble è slittata dalla precedente data di agosto a causa del ritardo nella preparazione dei serbatoi esterni e attualmente è prevista non appena Endeavour (per la eventuale missione di soccorso STS-400) raggiungerà la rampa 39B. Anche le riparazioni ai condotti di scarico del pad 39A saranno completate per il lancio.
STS-126 Endeavour. Lancio NET 10 novembre 2008.
Questa missione chiamata ULF-2 porterà per l’ultima volta il Multi Purpose Logistic Module (MPLM) Leonardo a bordo della ISS. Sarà un volo logistico per il trasporto di rifornimenti ed attrezzature. Porterà in orbita Sandra Magnus come nuovo componente della Expedition 18 e riporterà a Terra Gregory Chamitoff.
STS-119 Discovery. Lancio NET 12 febbraio 2009.
Missione già prevista per il trasporto dell’ultimo gruppo di pannelli solari della ISS, l’elemento Truss S6. Verranno anche eseguiti esperimenti sulle vibrazioni al lancio e sui flussi di plasma al rientro della navetta. Porterà in orbita Koichi Wakata come nuovo componente della Expedition 18 e riporterà a Terra Sandra Magnus.
STS-127 Endeavour. Lancio NET 21 maggio 2009.
È la terza missione per il laboratorio giapponese e con la piattaforma per gli esperimenti esterni completerà il modulo KIBO. Saranno necessarie ben cinque passeggiate spaziali in 15 giorni di missione. Grandissima novità sarà la possibilità che si abbia l’attracco di una Soyuz mentre uno Shuttle è ormeggiato alla stazione. Il 27 maggio è infatti previsto l’arrivo della Soyuz TMA-15 con a bordo la Expedition 19, che dovrà eseguire le manovre di attracco con la presenza di Endeavour. È una possibilità ancora in discussione sia da parte del MOD (Mission Operations Directive) che dal GJOP (Generic Joint Operations Panel), ma pare che potrà essere realizzata grazie anche al progressivo incremento delle dimensioni della ISS che permette una distanza di sicurezza fra i due veicoli che hanno i boccaporti di attracco alle estremità della stazione. Da considerare soprattutto che le date disponibili per completare il programma Shuttle entro il 2010 iniziano ad essere strette e quindi è necessario adattarsi e scendere a compromessi. Porterà in orbita un componente della Expedition 19, il colonnello Timothy Kopra e riporterà a Terra l'ultimo componente della Expedition 18, Koichi Wakata.
STS-128 Atlantis. Lancio NET 30 luglio 2009.
Missione riassegnata ad Atlantis dopo la decisione di sottoporlo alla manutenzione approfondita che gli orbiter devono subire ogni otto/dieci voli. In un primo momento si pensava di risparmiare il costo di questa manutenzione tenendo Atlantis come scorta di pezzi di ricambio per gli altri due orbiter, ma fortunatamente alla NASA hanno preferito avere la flotta in completa efficienza per non rischiare un turnover troppo stretto su sole due navette nelle ultime missioni. Verrà portato a bordo della ISS il modulo logistico MPLM Donatello e deve ancora essere deciso se lasciarlo come modulo permanente sulla Stazione Spaziale o no. Certamente sarebbe un laboratorio ed uno spazio aggiuntivo per l’equipaggio che passerà a 6 componenti proprio durante la Expedition 19. La durata sarà minore delle altre missioni a causa della mancanza del sistema di alimentazione Stazione-Shuttle (il SSPTS - Station-To-Shuttle Power Transfer System) e quindi il tempo di ormeggio della navetta sarà di undici giorni. Verranno eseguite due EVA. Atlantis trasporterà a bordo il sistema TriDAR della canadese Neptec per ottimizzare ed automatizzare le procedure di attracco, mentre gli esperimenti europei EuTEF e MISSE rientreranno a Terra. Farà un avvicendamento di equipaggio per la Expedition 19 lasciando Nicole Stott e riportando a terra il colonnello Timothy Kopra.
STS-129 Discovery. Lancio NET 15 ottobre 2009.
La missione prevede il trasporto sulla ISS degli EXPRESS Logistics Carriers ELC1 e ELC2, vere e proprie piattaforme non pressurizzate per esperimenti. Permettono di alloggiare diversi utilizzatori fornendoli di allacci elettrici, dati e tutto ciò che necessitano nell’ambiente esterno. Sarà anche l’ultimo volo Shuttle che farà un avvicendamento di equipaggio sulla ISS lasciando Jeff Williams e portando a Terra Robert Thirsk della Expedition 20.
STS-130 Endeavour. Lancio NET 10 dicembre 2009.
Qui sono previsti gli ultimi moduli della ISS, vale a dire il Nodo 3 e la Cupola, uno dei più incredibili moduli che saranno presenti sulla stazione. Si tratta di una vera e propria cupola con 7 finestre per avere una visuale a 2 pigreco steradianti (semisfera) sullo spazio. Inizialmente era previsto per la STS-132, ma è stata anticipata.
STS-131 Atlantis. Lancio NET 11 febbraio 2010.
Trentaduesimo ed ultimo viaggio previsto per Atlantis che eseguirà un volo logistico portando a bordo il MPLM Raffaello. Anche questo potrebbe potenzialmente diventare un modulo permanente della ISS. È necessario però una modifica al rivestimento esterno, aggiungendo una schermatura verso i MMOD (Micro Meteoroids Orbital Debris) ed una implementazione degli impianti di bordo per un migliore interfacciamento con la stazione. Modifiche da eseguire anche al modulo Donatello se viene deciso di lasciarlo permanentemente sulla stazione. Anche questa possibilità è in discussione.
STS-132 Discovery. Lancio NET 8 aprile 2010.
Trentottesimo ed ultimo volo per il Discovery. Questa missione logistica aggiuntiva è, come la seguente, ancora da approvare, ma viene già data per scontata. Dovrà trasportare MRM1 (Mini Research Module 1) e il ICC-VLD (Integrated Cargo Carrier Vertical Light Deployable).
STS-133 Endeavour. Lancio NET 31 maggio 2010.
Venticinquesimo ed ultimo volo per Endeavour. Sarà anche il 133° ed ultimo viaggio per lo Space Shuttle. Trasporterà gli EXPRESS Logistics Carriers ELC3 e ELC4.
Per quanto riguarda tutte le eventuali missioni di salvataggio (le STS-3xx) vengono spostate alla data dalla missione seguente (cioè quella da cui derivano), dato che la cadenza dei vari lanci è tale da permettere la permanenza in orbita dell’equipaggio esteso sulla ISS fino alla data successiva: questo permette di effettuare normalmente la missione, completa di payload, ma con equipaggio ridotto per permettere il rientro dei "naufraghi" dalla ISS. Di conseguenza le missioni LON STS-3xx spariscono.
Le notizie riportano questo, ma trovo difficile da credere che possa essere completata una missione con equipaggio ridotto a 4 elementi che contemporaneamente debba salvare i 7 naufraghi della missione precedente.
Unica eccezione resta la STS-400 che ha una possibile partenza molto ravvicinata alla STS-125 a causa della irraggiungibilità della ISS come porto sicuro d’attesa per quest’ultima.
Rimane ancora il punto interrogativo su una eventuale missione aggiuntiva che possa portare sulla stazione spaziale l’esperimento AMS, ma questo discorso deve ancora superare grossi problemi politico/economici.
Nota: NET = Not Earlier Than – Non Prima Del
Phoenix – Sol 28.
Il materiale preso dallo scavo "Snow White" e inserito nel microscopio è pronto per l’analisi, ma verrà eseguita nel Sol 29, domani.
Il braccio robotico è ora pronto ad inserire un’altra porzione dello stesso terreno nel laboratorio chimico “wet” (umido).
Sta per iniziare una routine diagnostica che permette di inizializzare il laboratorio. Verranno infatti disciolti 25 ml di acqua proveniente da Terra opportunamente sterilizzata, che sono stati finora conservati congelati a bordo del lander.
Questo laboratorio ha 4 camere di analisi identiche fra loro (come il TEGA ne ha 8) e serve ad analizzare il suolo come potrebbe fare un giardiniere scrupoloso per rilevare il contenuto di sali, acidi ed altre caratteristiche del terreno.
Il Wet Laboratory non è ancora stato utilizzato su Marte e fa parte del gruppo di strumenti di analisi di Phoenix che viene abbreviato in MECA (Microscopy, Electrochemistry and Conductivity Analyzer).
“L’acqua contenuta nella cella del wet-chemistry è congelata e prima di poter eseguire un esperimento dobbiamo essere certi che sia completamente sciolta” ha detto Sam Kounaves della Tufts University collaboratore del progetto Phoenix e capo della sezione Wet Chemistry Laboratory. “È come versare una quantità conosciuta di acqua in un campione durante un esperimento: devi usare tutta l’acqua perché l’esperimento vada a buon fine”.
“Siamo pronti” ha aggiunto Michael Hecht del Jet Propulsion Laboratory, scienziato responsabile della strumentazione MECA “sarà la prima acqua liquida che produrremo su Marte per i nostri test”.
Intanto l’analisi del primo forno TEGA è terminata ed ora si stanno studiando i risultati. Nei prossimi giorni avremo gli esiti.
L’analisi delle condizioni meteorologiche è indietro di qualche Sol. La situazione del Sol 24 era: temperatura minima -80°C, massima -31°C, pressione 8,31 mBar, vento fra 14 e 25 km/h da sudest e cielo terso senza polveri.
Il braccio robotico è ora pronto ad inserire un’altra porzione dello stesso terreno nel laboratorio chimico “wet” (umido).
Sta per iniziare una routine diagnostica che permette di inizializzare il laboratorio. Verranno infatti disciolti 25 ml di acqua proveniente da Terra opportunamente sterilizzata, che sono stati finora conservati congelati a bordo del lander.
Questo laboratorio ha 4 camere di analisi identiche fra loro (come il TEGA ne ha 8) e serve ad analizzare il suolo come potrebbe fare un giardiniere scrupoloso per rilevare il contenuto di sali, acidi ed altre caratteristiche del terreno.
Il Wet Laboratory non è ancora stato utilizzato su Marte e fa parte del gruppo di strumenti di analisi di Phoenix che viene abbreviato in MECA (Microscopy, Electrochemistry and Conductivity Analyzer).
“L’acqua contenuta nella cella del wet-chemistry è congelata e prima di poter eseguire un esperimento dobbiamo essere certi che sia completamente sciolta” ha detto Sam Kounaves della Tufts University collaboratore del progetto Phoenix e capo della sezione Wet Chemistry Laboratory. “È come versare una quantità conosciuta di acqua in un campione durante un esperimento: devi usare tutta l’acqua perché l’esperimento vada a buon fine”.
“Siamo pronti” ha aggiunto Michael Hecht del Jet Propulsion Laboratory, scienziato responsabile della strumentazione MECA “sarà la prima acqua liquida che produrremo su Marte per i nostri test”.
Intanto l’analisi del primo forno TEGA è terminata ed ora si stanno studiando i risultati. Nei prossimi giorni avremo gli esiti.
L’analisi delle condizioni meteorologiche è indietro di qualche Sol. La situazione del Sol 24 era: temperatura minima -80°C, massima -31°C, pressione 8,31 mBar, vento fra 14 e 25 km/h da sudest e cielo terso senza polveri.
lunedì 23 giugno 2008
Phoenix – Sol 27.
Le notizie dalla pianura settentrionale di Marte scarseggiano, quindi approfondiamo la struttura del lander.
Vediamo i computer di bordo.
L’Air Force Research Laboratory ha sviluppato con BAE Systems il RAD6000™, il processore resistente alle radiazioni.
La NASA ha scelto questo tipo di microprocessori perché si sono dimostrati affidabili, robusti e pienamente compatibili con i loro sistemi.
Questi computer possono fronteggiare le radiazioni presenti nel duro ambiente spaziale e operare con grande affidabilità in missioni a lungo termine, gestendo anche tutto il flusso di dati telemetrici fra le sonde e i controllori di Terra.
Il continuo bombardamento di radiazioni a cui sono sottoposti i dispositivi elettronici durante le missioni spaziali, possono generare cariche elettriche indesiderate che porterebbero a falsare il funzionamento del veicolo. Senza contare che un guasto anche minimo ai computer di bordo porterebbe quasi sicuramente al blocco del veicolo con la conseguente perdita di centinaia di milioni di dollari. Il lavoro di AFRL serve a evitare quello.
Ma non solo.
Il costo medio di un computer di controllo sviluppato ad hoc per una missione poteva incidere per un costo compreso fra 50 e 100 milioni di dollari.
Con l’ottimizzazione svolta da AFRL si è passati ad un costo da 0,5 a 2 milioni di dollari con l’ulteriore vantaggio dello standard di costruzione, che permette di avere i sistemi già pronti a magazzino.
Il 90% dei satelliti attualmente lanciati hanno a bordo sistemi resistenti alle radiazioni sviluppati da AFRL.
Vediamo più nel dettaglio quello di Phoenix.
RAD6000™ Space Computer.
Il RAD6000™ è un computer a scheda singola che combina gli standard commerciali con una specifica tecnologia resistente alle radiazioni per rispettare le esigenze delle applicazioni spaziali. Include funzioni di supporto per il controllo della memoria locale e fornisce interfacce I/O standard o personalizzate.
È disponibile su connettore FPGA e ASIC. La versione FPGA è basata sull’interfaccia standard VME, mentre la versione ASIC supporta dispositivi e protocolli ad I/O multiplo ed utilizza il Bus PCI come interfaccia. Questa caratteristica assicura delle conversioni affidabili dall’architettura RAD750™ anch’essa basata sul PCI.
La BAE Systems ha consolidato i suoi progetti spaziali nel dipartimento Space Systems and Electronics (SS&E) ed è dislocata in diverse sedi sul territorio statunitense.
Attualmente la BAE Systems sviluppa e produce un’ampia scelta di soluzioni per le missioni spaziali, dai PC a scheda singola fino ai satelliti completi ed ha nello spazio oltre 400 computer in servizio fra RAD750, RAD6000 e GVSC 1750.
Il RAD6000™ ha un processore RISC a 32 bit (Reduced Instruction Set Computer) super-scalare con oltre un milione di transistor e ad alte prestazioni, il quale combina la Power Architecture™ degli IBM RISC System/6000© con tecnologie proprietarie di BAE Systems. Il processo di schermatura alle radiazioni viene applicato a tutte le componenti logiche e di memorizzazione. Il miglior sistema operativo per questa classe di sistemi è VxWorks™ che è l’ideale per ridurre i costi di sviluppo e collaudo del software. I programmi di gestione sono poi scritti direttamente in linguaggio C e i sorgenti non derivano dall’open-source.
Su Marte ci sono 3 RAD6000™, due sui Rover Spirit ed Opportunity ed uno su Phoenix.
Dicono alla BAE “C’è intelligenza su Marte e noi abbiamo collaborato a portarcela…”.
Caratteristiche della versione utilizzata, FPGA.
Performance: circa 22 MIPS.
Frequenza: 20 MHz
Potenza max: 20 Watt a 20 MHz
Potenza min: 5 Watt a 2,5 MHz
RAM: 128 Mbyte DRAM
EEPROM: 3 Mbyte
Peso: <1,2 kg
Vediamo i computer di bordo.
L’Air Force Research Laboratory ha sviluppato con BAE Systems il RAD6000™, il processore resistente alle radiazioni.
La NASA ha scelto questo tipo di microprocessori perché si sono dimostrati affidabili, robusti e pienamente compatibili con i loro sistemi.
Questi computer possono fronteggiare le radiazioni presenti nel duro ambiente spaziale e operare con grande affidabilità in missioni a lungo termine, gestendo anche tutto il flusso di dati telemetrici fra le sonde e i controllori di Terra.
Il continuo bombardamento di radiazioni a cui sono sottoposti i dispositivi elettronici durante le missioni spaziali, possono generare cariche elettriche indesiderate che porterebbero a falsare il funzionamento del veicolo. Senza contare che un guasto anche minimo ai computer di bordo porterebbe quasi sicuramente al blocco del veicolo con la conseguente perdita di centinaia di milioni di dollari. Il lavoro di AFRL serve a evitare quello.
Ma non solo.
Il costo medio di un computer di controllo sviluppato ad hoc per una missione poteva incidere per un costo compreso fra 50 e 100 milioni di dollari.
Con l’ottimizzazione svolta da AFRL si è passati ad un costo da 0,5 a 2 milioni di dollari con l’ulteriore vantaggio dello standard di costruzione, che permette di avere i sistemi già pronti a magazzino.
Il 90% dei satelliti attualmente lanciati hanno a bordo sistemi resistenti alle radiazioni sviluppati da AFRL.
Vediamo più nel dettaglio quello di Phoenix.
RAD6000™ Space Computer.
Il RAD6000™ è un computer a scheda singola che combina gli standard commerciali con una specifica tecnologia resistente alle radiazioni per rispettare le esigenze delle applicazioni spaziali. Include funzioni di supporto per il controllo della memoria locale e fornisce interfacce I/O standard o personalizzate.
È disponibile su connettore FPGA e ASIC. La versione FPGA è basata sull’interfaccia standard VME, mentre la versione ASIC supporta dispositivi e protocolli ad I/O multiplo ed utilizza il Bus PCI come interfaccia. Questa caratteristica assicura delle conversioni affidabili dall’architettura RAD750™ anch’essa basata sul PCI.
La BAE Systems ha consolidato i suoi progetti spaziali nel dipartimento Space Systems and Electronics (SS&E) ed è dislocata in diverse sedi sul territorio statunitense.
Attualmente la BAE Systems sviluppa e produce un’ampia scelta di soluzioni per le missioni spaziali, dai PC a scheda singola fino ai satelliti completi ed ha nello spazio oltre 400 computer in servizio fra RAD750, RAD6000 e GVSC 1750.
Il RAD6000™ ha un processore RISC a 32 bit (Reduced Instruction Set Computer) super-scalare con oltre un milione di transistor e ad alte prestazioni, il quale combina la Power Architecture™ degli IBM RISC System/6000© con tecnologie proprietarie di BAE Systems. Il processo di schermatura alle radiazioni viene applicato a tutte le componenti logiche e di memorizzazione. Il miglior sistema operativo per questa classe di sistemi è VxWorks™ che è l’ideale per ridurre i costi di sviluppo e collaudo del software. I programmi di gestione sono poi scritti direttamente in linguaggio C e i sorgenti non derivano dall’open-source.
Su Marte ci sono 3 RAD6000™, due sui Rover Spirit ed Opportunity ed uno su Phoenix.
Dicono alla BAE “C’è intelligenza su Marte e noi abbiamo collaborato a portarcela…”.
Caratteristiche della versione utilizzata, FPGA.
Performance: circa 22 MIPS.
Frequenza: 20 MHz
Potenza max: 20 Watt a 20 MHz
Potenza min: 5 Watt a 2,5 MHz
RAM: 128 Mbyte DRAM
EEPROM: 3 Mbyte
Peso: <1,2 kg
sabato 21 giugno 2008
Phoenix – Sol 26.
Phoenix deve ora eseguire un compito più complesso.
Ha raccolto una certa quantità di suolo ed ha iniziato ad inserirla nel microscopio ottico usando il metodo dello sparpagliamento che gli ha permesso di completare con successo l’operazione.
“Vogliamo mettere lo stesso campione in tutti gli strumenti” ha detto Ray Arvidson capo ricercatore per le attività di scavo della Washington University di St. Louis. Dato che il team di scienziati vuole eseguire tutte le rilevazioni su un unico campione, hanno comandato il braccio di rimanere in posizione sollevata per tenere all’interno della benna il resto del terreno raccolto in modo di poterlo inserire anche nel ‘Wet Chemistry Lab’ e nel ‘Thermal and Evolved-Gas Analyzer’, cosa che verrà probabilmente fatta domani.
Ha raccolto una certa quantità di suolo ed ha iniziato ad inserirla nel microscopio ottico usando il metodo dello sparpagliamento che gli ha permesso di completare con successo l’operazione.
“Vogliamo mettere lo stesso campione in tutti gli strumenti” ha detto Ray Arvidson capo ricercatore per le attività di scavo della Washington University di St. Louis. Dato che il team di scienziati vuole eseguire tutte le rilevazioni su un unico campione, hanno comandato il braccio di rimanere in posizione sollevata per tenere all’interno della benna il resto del terreno raccolto in modo di poterlo inserire anche nel ‘Wet Chemistry Lab’ e nel ‘Thermal and Evolved-Gas Analyzer’, cosa che verrà probabilmente fatta domani.
ATV-1 News 18.
Spettacolare reboost eseguito dall'ATV-1 il 19 giugno alle 8:42 ora italiana.
Durato 20 minuti ha dato un impulso di accelerazione alle 300 tonnellate della Stazione Spaziale di oltre 4 metri al secondo portandola a più di 345 km di quota con un incremento di ben sette chilometri.
Nel diagramma allegato, tratto dal sito Heavens Above, si vede graficamente di quanto è stata aumentata la quota della ISS.
Durante l'operazione, eseguita con due soli motori principali dell'ATV-1, sono stati consumati circa 400 kg di propellenti.
Durato 20 minuti ha dato un impulso di accelerazione alle 300 tonnellate della Stazione Spaziale di oltre 4 metri al secondo portandola a più di 345 km di quota con un incremento di ben sette chilometri.
Nel diagramma allegato, tratto dal sito Heavens Above, si vede graficamente di quanto è stata aumentata la quota della ISS.
Durante l'operazione, eseguita con due soli motori principali dell'ATV-1, sono stati consumati circa 400 kg di propellenti.
Phoenix - Un po' di relax...
Tutti felici: su Marte c'è ghiaccio!
Immaginate tutti gli usi che potrebbero scaturire da questa scoperta: dall'estrazione per le future missioni all'uso per esperimenti, fino alla produzione di idrogeno ed ossigeno come propellenti utilizzando l'energia solare per l'elettrolisi dell'acqua...
Stiamo già pensando a cose troppo lontane nel futuro?
E' vero!
Ma la notizia è che si può fare!
Cioè senza l'acqua sarebbero cose impossibili, ma il fatto di averla trovata apre un mare di possibilità.
Comunque è curioso che questa scoperta sia stata fatta grazie alla scomparsa del ghiaccio: chissà se, come si vede dall'illustrazione, anche Phoenix è contento...
Immagine tratta dal Blog di Patrick Woida.
Immaginate tutti gli usi che potrebbero scaturire da questa scoperta: dall'estrazione per le future missioni all'uso per esperimenti, fino alla produzione di idrogeno ed ossigeno come propellenti utilizzando l'energia solare per l'elettrolisi dell'acqua...
Stiamo già pensando a cose troppo lontane nel futuro?
E' vero!
Ma la notizia è che si può fare!
Cioè senza l'acqua sarebbero cose impossibili, ma il fatto di averla trovata apre un mare di possibilità.
Comunque è curioso che questa scoperta sia stata fatta grazie alla scomparsa del ghiaccio: chissà se, come si vede dall'illustrazione, anche Phoenix è contento...
Immagine tratta dal Blog di Patrick Woida.
Phoenix – Sol 25.
NASA Phoenix Mars Lander conferma l’acqua congelata.
Gli scienziati si stanno gustando la conferma della presenza di ghiaccio d’acqua appena sotto la superficie, nei pressi della sonda marziana Phoenix, fatto che anticipa scoperte ancora maggiori dalla missione automatica nelle settimane a venire.
“È con enorme orgoglio e molta gioia che posso annunciare che oggi abbiamo trovato le prove che questo materiale chiaro è veramente ghiaccio d’acqua e non qualche altra sostanza” ha detto Peter Smith, Phoenix Principal Investigator alla University of Arizona di Tucson, durante la conferenza stampa organizzata oggi, venerdì 20 giugno 2008, proprio per questo annuncio.
“La notizia che stiamo inseguendo non è solo il ghiaccio,, ma è la ricerca dei minerali, della chimica e speriamo della materia organica associati a queste scoperte” ha aggiunto Smith.
La missione ha la giusta strumentazione per l’analisi del suolo e del ghiaccio per determinare se l’ambiente al disotto della superficie della regione nord di Marte, sia mai stato favorevole per la vita microbica. I fattori chiave sono se l’acqua sia mai stata disponibile in forma liquida e se i composti organici sono presenti in modo da costituire i blocchi fondamentali per lo sviluppo della vita. Per fare questo Phoenix ha tre mesi di tempo.
“Questi ultimi sviluppi sono il miglior risultato e la validazione del programma marziano di esplorazione ‘inseguiamo l’acqua’” ha detto Doug McCuistion Direttore del Programma Marte al quartier generale della NASA, a Washington “Questa specifica scoperta è il risultato di un eccezionale gruppo che sta lavorando con una robusta sonda in grado di permettere il raggiungimento degli obiettivi proposti.”
La chiave delle ultime prove sono i piccoli frammenti di materiale chiaro che sono stati esposti durante gli scavi del Sol 20, ancora presenti durante il Sol 21, ma scomparsi nel Sol 24. “Questo ci dice che abbiamo trovato ghiaccio d’acqua nel raggio d’azione del braccio robotico e quindi significa che possiamo proseguire le indagini con gli strumenti che abbiamo a disposizione” ha detto Mark Lemmon della Texas A&M University di College Station, scienziato capo della sezione Phoenix's Surface Stereo Imager, la fotocamera tridimensionale principale. Ha inoltre aggiunto “I frammenti scomparsi non possono essere di ghiaccio di anidride carbonica alla temperatura locale, perché quel materiale non potrebbe essere stabile allo stato solido neanche per un giorno.”
I pezzetti scomparsi erano in uno scavo a nordovest del lander. Un materiale rigido, forse altro ghiaccio, benché più scuro di quello del primo scavo, è stato rilevato in un altro scavo a nordest del lander. Gli scienziati prevedono di istruire Phoenix a raccogliere ed analizzare il terreno in uno scavo intermedio da eseguire vicino al secondo ed in seguito di riuscire a testare meccanicamente lo strato duro.
“Abbiamo alcune possibilità di attacco del ghiaccio compatto, come raschiare e grattugiare e le proveremo tutte” ha detto Ray Arvidson della Washington University di St. Louis capo scienziato del braccio robotico.
Il Project Manager di Phoenix, Barry Goldstein, del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, riferisce che il problema dei file di sistema duplicati nella memoria è stato isolato e la correzione sarà inviata entro pochi giorni. Nel frattempo il lavoro prosegue con l’accortezza di inviare a Terra tutti i dati raccolti entro la fine del giorno marziano a cui si riferiscono.
Le immagini inviate dell’apertura del forno numero cinque del TEGA hanno evidenziato che gli sportelli non sono riusciti ad aprirsi come avrebbero dovuto. Il team di Terra sta studiando le conseguenze di questo problema.
Nell’immagine: 2/3” = 17mm.
Fonte: siti ufficiali.
Gli scienziati si stanno gustando la conferma della presenza di ghiaccio d’acqua appena sotto la superficie, nei pressi della sonda marziana Phoenix, fatto che anticipa scoperte ancora maggiori dalla missione automatica nelle settimane a venire.
“È con enorme orgoglio e molta gioia che posso annunciare che oggi abbiamo trovato le prove che questo materiale chiaro è veramente ghiaccio d’acqua e non qualche altra sostanza” ha detto Peter Smith, Phoenix Principal Investigator alla University of Arizona di Tucson, durante la conferenza stampa organizzata oggi, venerdì 20 giugno 2008, proprio per questo annuncio.
“La notizia che stiamo inseguendo non è solo il ghiaccio,, ma è la ricerca dei minerali, della chimica e speriamo della materia organica associati a queste scoperte” ha aggiunto Smith.
La missione ha la giusta strumentazione per l’analisi del suolo e del ghiaccio per determinare se l’ambiente al disotto della superficie della regione nord di Marte, sia mai stato favorevole per la vita microbica. I fattori chiave sono se l’acqua sia mai stata disponibile in forma liquida e se i composti organici sono presenti in modo da costituire i blocchi fondamentali per lo sviluppo della vita. Per fare questo Phoenix ha tre mesi di tempo.
“Questi ultimi sviluppi sono il miglior risultato e la validazione del programma marziano di esplorazione ‘inseguiamo l’acqua’” ha detto Doug McCuistion Direttore del Programma Marte al quartier generale della NASA, a Washington “Questa specifica scoperta è il risultato di un eccezionale gruppo che sta lavorando con una robusta sonda in grado di permettere il raggiungimento degli obiettivi proposti.”
La chiave delle ultime prove sono i piccoli frammenti di materiale chiaro che sono stati esposti durante gli scavi del Sol 20, ancora presenti durante il Sol 21, ma scomparsi nel Sol 24. “Questo ci dice che abbiamo trovato ghiaccio d’acqua nel raggio d’azione del braccio robotico e quindi significa che possiamo proseguire le indagini con gli strumenti che abbiamo a disposizione” ha detto Mark Lemmon della Texas A&M University di College Station, scienziato capo della sezione Phoenix's Surface Stereo Imager, la fotocamera tridimensionale principale. Ha inoltre aggiunto “I frammenti scomparsi non possono essere di ghiaccio di anidride carbonica alla temperatura locale, perché quel materiale non potrebbe essere stabile allo stato solido neanche per un giorno.”
I pezzetti scomparsi erano in uno scavo a nordovest del lander. Un materiale rigido, forse altro ghiaccio, benché più scuro di quello del primo scavo, è stato rilevato in un altro scavo a nordest del lander. Gli scienziati prevedono di istruire Phoenix a raccogliere ed analizzare il terreno in uno scavo intermedio da eseguire vicino al secondo ed in seguito di riuscire a testare meccanicamente lo strato duro.
“Abbiamo alcune possibilità di attacco del ghiaccio compatto, come raschiare e grattugiare e le proveremo tutte” ha detto Ray Arvidson della Washington University di St. Louis capo scienziato del braccio robotico.
Il Project Manager di Phoenix, Barry Goldstein, del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, riferisce che il problema dei file di sistema duplicati nella memoria è stato isolato e la correzione sarà inviata entro pochi giorni. Nel frattempo il lavoro prosegue con l’accortezza di inviare a Terra tutti i dati raccolti entro la fine del giorno marziano a cui si riferiscono.
Le immagini inviate dell’apertura del forno numero cinque del TEGA hanno evidenziato che gli sportelli non sono riusciti ad aprirsi come avrebbero dovuto. Il team di Terra sta studiando le conseguenze di questo problema.
Nell’immagine: 2/3” = 17mm.
Fonte: siti ufficiali.
venerdì 20 giugno 2008
Lanciato Jason 2 a bordo di un Delta II.
Un satellite oceanografico nato dalla collaborazione fra America ed Europa è stato lanciato dalla Vandenberg Air Force Base questa mattina alle 9:46 ora italiana. Lo ha portato in orbita un vettore Delta II della United Launch Alliance nella configurazione 7320-10: due stadi, 3 booster a stato solido e stiva di carico da 10 piedi (3 metri) di diametro.
Il carico era il satellite Jason 2, che deve rimpiazzare il Jason 1 e gli si affiancherà per qualche mese per poter avere un “passaggio delle consegne” completo e totale sincronizzazione di tutti i dati di bordo.
Il loro scopo è il monitoraggio delle variazioni nel livello degli oceani e il loro controllo in funzione dei mutamenti climatici globali. Sono fondamentali i rilevamenti delle “colline” e degli “avvallamenti” che si formano sulla superficie oceanica e controllano la circolazione globale delle acque.
Questo lavoro era stato iniziato dal satellite TOPEX/Poseidon nel 1992 che venne rimpiazzato proprio dal Jason 1 nel 2001 e i loro continui controlli hanno permesso di rilevare un aumento medio del livello degli oceani di 3 millimetri all’anno, il doppio di quello rilevato dalla tendenza mareale del secolo scorso.
100 secondi dopo il lancio i tre booster hanno lasciato il vettore che ha continuato la spinta con il suo motore a Kerosene fino al MECO, a T +4:36 e ad una quota di 70 km. A quel punto è passato al secondo stadio ad idrazina che al T +11 minuti ha raggiunto il SECO e parcheggiato il carico nell’orbita di parcheggio prestabilita. Dopo un’ultima accensione a T +48 il carico è stato rilasciato 55 minuti dopo il lancio e la missione del Delta II è terminata. Tre minuti dopo i pannelli solari del Jason 2 erano già distesi ad una quota orbitale definitiva di 1330 km.
Il launch manager della NASA Omar Baez ha espresso alcune perplessità sui dati telemetrici raccolti e, benché il satellite sia nella sua posizione prevista, pare che il vettore non si sia comportato pienamente come previsto. Questi dati dovranno essere studiati approfonditamente.
Il progetto Jason 2 comprende NASA (con la Ocean Surface Topography Mission), NOAA, l’agenzia spaziale francese e l’agenzia europea per i satelliti metereologici.
Foto: U.S Air Force photo/Airman First Class Andrew Lee.
Il carico era il satellite Jason 2, che deve rimpiazzare il Jason 1 e gli si affiancherà per qualche mese per poter avere un “passaggio delle consegne” completo e totale sincronizzazione di tutti i dati di bordo.
Il loro scopo è il monitoraggio delle variazioni nel livello degli oceani e il loro controllo in funzione dei mutamenti climatici globali. Sono fondamentali i rilevamenti delle “colline” e degli “avvallamenti” che si formano sulla superficie oceanica e controllano la circolazione globale delle acque.
Questo lavoro era stato iniziato dal satellite TOPEX/Poseidon nel 1992 che venne rimpiazzato proprio dal Jason 1 nel 2001 e i loro continui controlli hanno permesso di rilevare un aumento medio del livello degli oceani di 3 millimetri all’anno, il doppio di quello rilevato dalla tendenza mareale del secolo scorso.
100 secondi dopo il lancio i tre booster hanno lasciato il vettore che ha continuato la spinta con il suo motore a Kerosene fino al MECO, a T +4:36 e ad una quota di 70 km. A quel punto è passato al secondo stadio ad idrazina che al T +11 minuti ha raggiunto il SECO e parcheggiato il carico nell’orbita di parcheggio prestabilita. Dopo un’ultima accensione a T +48 il carico è stato rilasciato 55 minuti dopo il lancio e la missione del Delta II è terminata. Tre minuti dopo i pannelli solari del Jason 2 erano già distesi ad una quota orbitale definitiva di 1330 km.
Il launch manager della NASA Omar Baez ha espresso alcune perplessità sui dati telemetrici raccolti e, benché il satellite sia nella sua posizione prevista, pare che il vettore non si sia comportato pienamente come previsto. Questi dati dovranno essere studiati approfonditamente.
Il progetto Jason 2 comprende NASA (con la Ocean Surface Topography Mission), NOAA, l’agenzia spaziale francese e l’agenzia europea per i satelliti metereologici.
Foto: U.S Air Force photo/Airman First Class Andrew Lee.
Phoenix – Sol 24.
Piccoli frammenti di materiale bianco sono scomparsi dallo scavo effettuato alcuni Sol fa. Questo ha convinto gli scienziati che deve trattarsi di acqua congelata che è sublimata dopo che lo scavo l’ha portata alla luce.
“Dev’essere ghiaccio!” ha detto Peter Smith, Principal Investigator della University of Arizona di Tucson “ben tre frammenti sono completamente scomparsi e questa è l’evidenza che sia ghiaccio. C’era la possibilità che fosse sale, ma il sale non può fare questo!”.
I frammenti erano sulle pareti dello scavo chiamato "Dodo-Goldilocks" quando il braccio robotico lo ha allargato durante il Sol 20. Ebbene, alcuni frammenti erano scomparsi in questo Sol 24.
Durante gli scavi odierni in un punto diverso il braccio robotico ha incontrato una superficie dura che ha spinto gli scienziati a pensare ad un substrato di ghiaccio. A Terra il team scientifico ha già iniziato un’analisi dettagliata delle ultime immagini giunte da Marte.
Studiando le prime scoperte eseguite nel nuovo scavo "Snow White 2", posizionato a destra dello "Snow White 1", Ray Arvidson della Washington University di St. Louis ha detto “Abbiamo scavato e scoperto uno strato duro alla stessa profondità dello strato chiaro presente negli altri scavi.”
L’estensione appena eseguita allo scavo realizzato al centro della formazione poligonale nella zona "Wonderland" ha cozzato con questo strato rigido e dopo 3 tentativi di scavare ulteriormente il braccio si è fermato in posizione di attesa, cosa che esegue solo quando non riesce a scavare ulteriormente.
Intanto il team della sonda, al Lockheed Martin Space Systems di Denver sta preparando una modifica software da inviare a Phoenix entro qualche giorno per ripristinare il salvataggio dei dati nella memoria flash di bordo. Attualmente si sta ancora lottando con i file di sistema che si duplicano nella memoria flash.
“Abbiamo capito cosa è successo e possiamo correggere il problema con una patch” ha detto Barry Goldstein, Project Manager di Phoenix al Jet Propulsion Laboratori di Pasadena. “Il nostro programma di tre mesi ha circa 30 giorni di tolleranza per contingenze di questo tipo e finora abbiamo utilizzato un solo giorno su 24 Sol. La missione è quindi in buon anticipo sulle previsioni e anche le scoperte scientifiche stanno puntando verso un pieno successo.”
Nelle immagini lo scavo Dodo con la differenza fra Sol 20 e Sol 24 e lo scavo Snow White 2.
Fonte: NASA/JPL.
“Dev’essere ghiaccio!” ha detto Peter Smith, Principal Investigator della University of Arizona di Tucson “ben tre frammenti sono completamente scomparsi e questa è l’evidenza che sia ghiaccio. C’era la possibilità che fosse sale, ma il sale non può fare questo!”.
I frammenti erano sulle pareti dello scavo chiamato "Dodo-Goldilocks" quando il braccio robotico lo ha allargato durante il Sol 20. Ebbene, alcuni frammenti erano scomparsi in questo Sol 24.
Durante gli scavi odierni in un punto diverso il braccio robotico ha incontrato una superficie dura che ha spinto gli scienziati a pensare ad un substrato di ghiaccio. A Terra il team scientifico ha già iniziato un’analisi dettagliata delle ultime immagini giunte da Marte.
Studiando le prime scoperte eseguite nel nuovo scavo "Snow White 2", posizionato a destra dello "Snow White 1", Ray Arvidson della Washington University di St. Louis ha detto “Abbiamo scavato e scoperto uno strato duro alla stessa profondità dello strato chiaro presente negli altri scavi.”
L’estensione appena eseguita allo scavo realizzato al centro della formazione poligonale nella zona "Wonderland" ha cozzato con questo strato rigido e dopo 3 tentativi di scavare ulteriormente il braccio si è fermato in posizione di attesa, cosa che esegue solo quando non riesce a scavare ulteriormente.
Intanto il team della sonda, al Lockheed Martin Space Systems di Denver sta preparando una modifica software da inviare a Phoenix entro qualche giorno per ripristinare il salvataggio dei dati nella memoria flash di bordo. Attualmente si sta ancora lottando con i file di sistema che si duplicano nella memoria flash.
“Abbiamo capito cosa è successo e possiamo correggere il problema con una patch” ha detto Barry Goldstein, Project Manager di Phoenix al Jet Propulsion Laboratori di Pasadena. “Il nostro programma di tre mesi ha circa 30 giorni di tolleranza per contingenze di questo tipo e finora abbiamo utilizzato un solo giorno su 24 Sol. La missione è quindi in buon anticipo sulle previsioni e anche le scoperte scientifiche stanno puntando verso un pieno successo.”
Nelle immagini lo scavo Dodo con la differenza fra Sol 20 e Sol 24 e lo scavo Snow White 2.
Fonte: NASA/JPL.
giovedì 19 giugno 2008
Lanciati sei satelliti americani da un vettore Kosmos.
È partito questa mattina, 19 giugno, alle 8:36 ora italiana dal cosmodromo di Kapustin Yar nella regione di Astrakhan, Russia sudoccidentale, un vettore Kosmos 3M che ha portato in orbita ben sei satelliti commerciali americani della ORBCOMM Inc. che si occuperanno dei servizi di comunicazione di questa azienda che conta già 29 satelliti posti su sei piani orbitali diversi. Il loro compito principale è quello di mettere in comunicazione fra loro i prodotti dei clienti della ORBCOMM fra cui General Electric, Caterpillar Corp., Volvo Group, e Komatsu Ltd.
Il razzo a due stadi ha portato il carico ad una quota di 660 km su un’orbita inclinata di 48,5 gradi.
La ORBCOMM con base nel New Jersey, ha già parecchia esperienza in questo campo e ben 5 dei satelliti lanciati oggi sono versioni aggiornate di quelli già presenti in orbita che hanno superato gli otto anni di servizio, ben oltre i quattro previsti. Ogni satellite pesa circa 120 kg e sono prodotti dalla OHB-System tedesca, mentre il sistema di trasponder di comunicazione in banda UHF e VHF sono della Orbital Sciences Corporation. Il numero di questi ricevitori è maggiore in questa versione di satellite, per aumentare la capacità di comunicazione e ridurre il tempo di invio dei messaggi. I satelliti entreranno in servizio entro la fine dell’estate e la loro vita operativa prevista è di 10 anni.
Il sesto satellite pesava 82 kg ed era un dimostrativo della capacità di tracciamento marittimo per la Guardia Costiera Statunitense. È il prototipo dei veicoli che dovranno comporre l’Automatic Identification System, il primo sistema globale per il controllo del traffico navale a livello mondiale. Il sistema è già attivo, ma si basa su ripetitori terrestri per la distribuzione e raccolta dei segnali.
Lo scopo è quello di vendere il servizio alle guardie costiere e alle compagnie multinazionali e a questo scopo la ORBCOMM ha firmato il mese scorso un contratto da 117 milioni di dollari con la MicroSat Systems per una fornitura di diciotto sistemi satellitari di nuova generazione, per permettere la gestione di un numero di clienti di 12 volte maggiore rispetto a quella attuale. Nel contratto vi è anche una opzione per ulteriori 30 satelliti da lanciare entro 3 anni.
Il razzo a due stadi ha portato il carico ad una quota di 660 km su un’orbita inclinata di 48,5 gradi.
La ORBCOMM con base nel New Jersey, ha già parecchia esperienza in questo campo e ben 5 dei satelliti lanciati oggi sono versioni aggiornate di quelli già presenti in orbita che hanno superato gli otto anni di servizio, ben oltre i quattro previsti. Ogni satellite pesa circa 120 kg e sono prodotti dalla OHB-System tedesca, mentre il sistema di trasponder di comunicazione in banda UHF e VHF sono della Orbital Sciences Corporation. Il numero di questi ricevitori è maggiore in questa versione di satellite, per aumentare la capacità di comunicazione e ridurre il tempo di invio dei messaggi. I satelliti entreranno in servizio entro la fine dell’estate e la loro vita operativa prevista è di 10 anni.
Il sesto satellite pesava 82 kg ed era un dimostrativo della capacità di tracciamento marittimo per la Guardia Costiera Statunitense. È il prototipo dei veicoli che dovranno comporre l’Automatic Identification System, il primo sistema globale per il controllo del traffico navale a livello mondiale. Il sistema è già attivo, ma si basa su ripetitori terrestri per la distribuzione e raccolta dei segnali.
Lo scopo è quello di vendere il servizio alle guardie costiere e alle compagnie multinazionali e a questo scopo la ORBCOMM ha firmato il mese scorso un contratto da 117 milioni di dollari con la MicroSat Systems per una fornitura di diciotto sistemi satellitari di nuova generazione, per permettere la gestione di un numero di clienti di 12 volte maggiore rispetto a quella attuale. Nel contratto vi è anche una opzione per ulteriori 30 satelliti da lanciare entro 3 anni.
Donne nello Spazio.
Era il 16 giugno del 1963 quando la Vostok 6 portava in orbita la prima donna astronauta della storia.
Valentina Tereshkova (classe 1937) passava 3 giorni nello spazio e percorreva 48 orbite. Ha sofferto quasi continuamente di mal di spazio e quindi è stata per lei una esperienza molto pesante. Difatti i vertici sovietici pensarono che le donne non fossero adattabili all'ambiente orbitale.
La conferma di questo pensiero è stata anche la mancanza di altre cosmonaute per 19 anni. Svetlana Savitskaya, la seconda cosmonauta volò nel 1982 sulla Soyuz T-7. Quest'ultima, il 25 luglio 1984 mentre era sulla Stazione Spaziale Salyut 7, divenne la prima donna ad effettuare attività extraveicolare.
Dopo il suo storico volo Valentina Vladimirovna Tereshkova ha conseguito la laurea in ingegneria ed ha intrapreso la carriera politica.
Venti anni dopo, era la missione Shuttle STS-7 e il 18 giugno 1983 l'astronauta Sally Ride (classe 1951) a bordo del Challenger, diventava la prima donna americana nello Spazio.
Sally Kristen Ride è stata scelta fra gli 8900 partecipanti provenienti da un annuncio su un giornale ed è entrata alla Nasa nel 1978.
Nel 1984 ha partecipato anche alla STS-41G, sempre sul Challenger, ma dopo la tragedia che ha coinvolto quello Shuttle ha deciso nel 1987 di abbandonare la carriera di astronauta ed è diventata una docente alla Stanford University in California.
Valentina Tereshkova (classe 1937) passava 3 giorni nello spazio e percorreva 48 orbite. Ha sofferto quasi continuamente di mal di spazio e quindi è stata per lei una esperienza molto pesante. Difatti i vertici sovietici pensarono che le donne non fossero adattabili all'ambiente orbitale.
La conferma di questo pensiero è stata anche la mancanza di altre cosmonaute per 19 anni. Svetlana Savitskaya, la seconda cosmonauta volò nel 1982 sulla Soyuz T-7. Quest'ultima, il 25 luglio 1984 mentre era sulla Stazione Spaziale Salyut 7, divenne la prima donna ad effettuare attività extraveicolare.
Dopo il suo storico volo Valentina Vladimirovna Tereshkova ha conseguito la laurea in ingegneria ed ha intrapreso la carriera politica.
Venti anni dopo, era la missione Shuttle STS-7 e il 18 giugno 1983 l'astronauta Sally Ride (classe 1951) a bordo del Challenger, diventava la prima donna americana nello Spazio.
Sally Kristen Ride è stata scelta fra gli 8900 partecipanti provenienti da un annuncio su un giornale ed è entrata alla Nasa nel 1978.
Nel 1984 ha partecipato anche alla STS-41G, sempre sul Challenger, ma dopo la tragedia che ha coinvolto quello Shuttle ha deciso nel 1987 di abbandonare la carriera di astronauta ed è diventata una docente alla Stanford University in California.
Phoenix – Sol 23.
Phoenix Mars Mission ha prodotto una mole imprevista di dati durante il Sol 22 che ha causato lo riempimento delle memorie di bordo e la conseguente perdita di alcuni dati che però non erano scientificamente indispensabili.
Si sta riprogrammando la sequenza di operazioni per evitare di sovraccaricare le memorie e contemporaneamente verranno aperte nuove finestre di comunicazione per recuperare dati in altri momenti oltre ai classici periodi serale e mattutino.
“Il veicolo è in perfetta forma e pienamente reattivo, ma preferiamo procedere con calma finché non capiamo a fondo le cause di questo evento” ha detto Barry Goldstein, Project Manager di Phoenix al Jet Propulsion Laboratory.
Normalmente Phoenix genera una piccola quantità di dati giornalieri per mantenere i file di sistema che hanno alta priorità per accedere alla memoria flash. Durante i Sol 21 e 22 questi dati hanno saturato la flash e quindi, giunto il momento di memorizzare i dati scientifici del Sol 22, prima dello spegnimento notturno, non c’era più spazio. Fortunatamente non vi erano dati importanti, ma quasi tutte fotografie che possono essere scattate nuovamente con l’unica esclusione di quelle riprese prima dello scavo eseguito dal braccio robotico.
Per evitare di ingolfare le memorie flash di Phoenix per i salvataggi notturni, il team ha richiesto alla sonda di trattenersi temporaneamente dall’eseguire rilievi scientifici e di modificare la priorità dei dati di sistema in eccesso provenienti dai calcolatori di bordo. Per inciso, la memoria RAM di Phoenix, derivando da un progetto del 2001, è di soli 128MByte.
“Possiamo comunque continuare ad eseguire esperimenti che non rimangano nella memoria flash” ha detto Goldstein. La maggior parte dei dati raccolti durante la missione sono stati inviati a Terra nello stesso Sol in cui sono stati rilevati, senza necessità di memorizzazione notturna. Il team ha però accumulato di proposito delle grandi quantità di immagini per testare il recupero il Sol successivo. E finora tutto era andato bene se non fosse per quel surplus di dati di sistema generati da Phoenix.
Per risolvere il problema si è deciso di utilizzare più sessioni di comunicazione durante la giornata per scaricare la maggior quantità di dati possibile evitando la memorizzazione notturna.
In questa ottica il prossimo Sol sarà nuovamente a pieno regime con fotografie, dati scientifici e meteorologici.
Una nota tecnica: i pannelli solari di Phoenix hanno un’efficienza del 28% e benché siano più grandi di quelli dei Rover Spirit ed Opportunity, generano meno potenza a causa della posizione della sonda, vicino al circolo polare: il Sole più basso sull’orizzonte irradia di meno la superficie dei pannelli.
Si sta riprogrammando la sequenza di operazioni per evitare di sovraccaricare le memorie e contemporaneamente verranno aperte nuove finestre di comunicazione per recuperare dati in altri momenti oltre ai classici periodi serale e mattutino.
“Il veicolo è in perfetta forma e pienamente reattivo, ma preferiamo procedere con calma finché non capiamo a fondo le cause di questo evento” ha detto Barry Goldstein, Project Manager di Phoenix al Jet Propulsion Laboratory.
Normalmente Phoenix genera una piccola quantità di dati giornalieri per mantenere i file di sistema che hanno alta priorità per accedere alla memoria flash. Durante i Sol 21 e 22 questi dati hanno saturato la flash e quindi, giunto il momento di memorizzare i dati scientifici del Sol 22, prima dello spegnimento notturno, non c’era più spazio. Fortunatamente non vi erano dati importanti, ma quasi tutte fotografie che possono essere scattate nuovamente con l’unica esclusione di quelle riprese prima dello scavo eseguito dal braccio robotico.
Per evitare di ingolfare le memorie flash di Phoenix per i salvataggi notturni, il team ha richiesto alla sonda di trattenersi temporaneamente dall’eseguire rilievi scientifici e di modificare la priorità dei dati di sistema in eccesso provenienti dai calcolatori di bordo. Per inciso, la memoria RAM di Phoenix, derivando da un progetto del 2001, è di soli 128MByte.
“Possiamo comunque continuare ad eseguire esperimenti che non rimangano nella memoria flash” ha detto Goldstein. La maggior parte dei dati raccolti durante la missione sono stati inviati a Terra nello stesso Sol in cui sono stati rilevati, senza necessità di memorizzazione notturna. Il team ha però accumulato di proposito delle grandi quantità di immagini per testare il recupero il Sol successivo. E finora tutto era andato bene se non fosse per quel surplus di dati di sistema generati da Phoenix.
Per risolvere il problema si è deciso di utilizzare più sessioni di comunicazione durante la giornata per scaricare la maggior quantità di dati possibile evitando la memorizzazione notturna.
In questa ottica il prossimo Sol sarà nuovamente a pieno regime con fotografie, dati scientifici e meteorologici.
Una nota tecnica: i pannelli solari di Phoenix hanno un’efficienza del 28% e benché siano più grandi di quelli dei Rover Spirit ed Opportunity, generano meno potenza a causa della posizione della sonda, vicino al circolo polare: il Sole più basso sull’orizzonte irradia di meno la superficie dei pannelli.
Solstizio estivo 2008.
Il 21 giugno alle 01:59 italiane (il 20 alle 23:59 UTC) avremo il solstizio estivo del 2008.
Il Sole raggiunge la sua massima declinazione nel suo movimento apparente rispetto al piano dell'eclittica.
In pratica a mezzogiorno il Sole raggiunge nel nostro emisfero il punto più alto e si ha il giorno più lungo dell'anno (e di conseguenza la notte più corta).
Il Sole passa allo Zenith sul tropico del Cancro.
Da domenica inizieranno ad accorciarsi le giornate.
Nonostante sia un'estate non molto presente (meteorologicamente parlando) auguro buona Estate a tutti!!!
Il Sole raggiunge la sua massima declinazione nel suo movimento apparente rispetto al piano dell'eclittica.
In pratica a mezzogiorno il Sole raggiunge nel nostro emisfero il punto più alto e si ha il giorno più lungo dell'anno (e di conseguenza la notte più corta).
Il Sole passa allo Zenith sul tropico del Cancro.
Da domenica inizieranno ad accorciarsi le giornate.
Nonostante sia un'estate non molto presente (meteorologicamente parlando) auguro buona Estate a tutti!!!
mercoledì 18 giugno 2008
STS-125 News 3.
Dopo il lancio del 31 maggio scorso in cui il Discovery è partito per la STS-124, la parete est della trincea nord di sfogo delle fiamme, quella degli SRB, subiva dei notevoli danni con intere sezioni sbriciolate e lanciate a grande distanza. Queste sono ancora le rampe di lancio che quarant’anni fa hanno visto partire i mitici Saturno V verso la Luna e da allora hanno subito solo manutenzione ordinaria. Si poteva quindi pensare che prima o poi potesse succedere.
La preoccupazione per la tempistica di riparazione era alta, ma dopo attente analisi si sono sciolti i dubbi. Infatti le riparazioni sono già iniziate e il tempo a disposizione è reputato sufficiente.
Quindi nessun rinvio per la STS-125, l’ultima missione che non raggiungerà la ISS, ma si occuperà di riportare alla massima efficienza il telescopio spaziale Hubble.
L’addestramento dell’equipaggio prosegue a ritmi serrati così come la preparazione dell’Atlantis che dovrà portare gli astronauti sull’HST.
Intanto nel VAB hanno già completato l’assemblaggio dei razzi a propellente solido della missione principale, appunto la STS-125, mentre si dovranno preparare anche quelli per la STS-400, la missione di salvataggio che dovrebbe portare l’Endeavour in rampa contemporaneamente ad Atlantis per eseguire un eventuale lancio di soccorso se il primo Shuttle non potesse avere la possibilità di rientrare in modo sicuro. Il tutto dovrà essere pronto per l’8 ottobre: Atlantis sul Pad 39A ed Endeavour sul Pad 39B. E questa sarà anche l’ultima volta che vedremo uno Shuttle sulla rampa 39B, perché una volta annullata la STS-400 perché non necessaria, Endeavour verrà spostato sulla 39A e preparato per la STS-126, in partenza a novembre.
La preoccupazione per la tempistica di riparazione era alta, ma dopo attente analisi si sono sciolti i dubbi. Infatti le riparazioni sono già iniziate e il tempo a disposizione è reputato sufficiente.
Quindi nessun rinvio per la STS-125, l’ultima missione che non raggiungerà la ISS, ma si occuperà di riportare alla massima efficienza il telescopio spaziale Hubble.
L’addestramento dell’equipaggio prosegue a ritmi serrati così come la preparazione dell’Atlantis che dovrà portare gli astronauti sull’HST.
Intanto nel VAB hanno già completato l’assemblaggio dei razzi a propellente solido della missione principale, appunto la STS-125, mentre si dovranno preparare anche quelli per la STS-400, la missione di salvataggio che dovrebbe portare l’Endeavour in rampa contemporaneamente ad Atlantis per eseguire un eventuale lancio di soccorso se il primo Shuttle non potesse avere la possibilità di rientrare in modo sicuro. Il tutto dovrà essere pronto per l’8 ottobre: Atlantis sul Pad 39A ed Endeavour sul Pad 39B. E questa sarà anche l’ultima volta che vedremo uno Shuttle sulla rampa 39B, perché una volta annullata la STS-400 perché non necessaria, Endeavour verrà spostato sulla 39A e preparato per la STS-126, in partenza a novembre.
Phoenix – Sol 22.
Sono finite le prove, ora si fa sul serio.
Lo scavo iniziato ieri nella zona “Wonderland” è stato chiamato “Snow White” ed è il primo scavo con obiettivi scientifici precisi.
È stata scelta una delle strutture poligonali che compongono il terreno, a cui è stato dato il nome di “Cheshire Cat”. Lo scavo è stato eseguito al centro di essa in modo da massimizzare la probabilità di trovare le stratificazioni che sono già state trovate in precedenza, oppure anche altre caratteristiche del terreno. Attualmente le dimensioni di “Snow White” sono 2 centimetri di profondità per 30 di lunghezza (la larghezza è uguale alla larghezza della benna di scavo, 8,5 centimetri). In questo primo abbozzo, il braccio di scavo non ha raggiunto nessuno strato particolare. Il team di controllo del braccio prevede di lavorare per almeno un Sol per approfondire la buca. Dopo un’attenta analisi della struttura del suolo si deciderà quali campioni portare nelle apparecchiature di bordo per l’esame strumentale.
La speranza è quella di trovare uno strato di permafrost, che sarebbe del terreno permanentemente congelato. Se derivasse dall’acqua potrebbe essere un testimone che la vita un tempo era presente su Marte, o potrebbe addirittura contenerne all’interno…
Le attività scientifiche di bordo dovranno rallentare per un paio di Sol dato che Phoenix deve essere programmato per gestire la grande quantità di dati che sta provenendo dal suo lavoro, molti più del previsto. Il team di Terra si sta appunto dedicando a queste modifiche.
Il TEGA sta intanto proseguendo nella cottura e la temperatura è attualmente di 1003°C. A questa temperatura molti minerali possono essere rilevati.
Sui pannelli solari si è depositato un leggero strato di polvere, ma non è nulla di preoccupante. L’energia attualmente disponibile è ben superiore a quella necessaria per la sonda. Anzi, è persino superiore al previsto.
Non sono previsti sistemi di pulitura dei pannelli soprattutto perché i due rover, Spirit ed Opportunity, funzionano ancora dopo quasi 4 anni e mezzo sul Pianeta Rosso. Durante le tempeste di sabbia, il vento tende ad asportare più sabbia di quanta ne depositi. Inoltre nella zona di discesa di Phoenix sono stati fotografati in passato dei “Dust Devils”, dei mulinelli di sabbia in cui il vento gira molto velocemente, che potrebbero spazzare la sonda.
Il meteo si mantiene sul bello stabile con temperatura massima di -32°C e minima di -80°C.
Fonte: siti ufficiali.
Lo scavo iniziato ieri nella zona “Wonderland” è stato chiamato “Snow White” ed è il primo scavo con obiettivi scientifici precisi.
È stata scelta una delle strutture poligonali che compongono il terreno, a cui è stato dato il nome di “Cheshire Cat”. Lo scavo è stato eseguito al centro di essa in modo da massimizzare la probabilità di trovare le stratificazioni che sono già state trovate in precedenza, oppure anche altre caratteristiche del terreno. Attualmente le dimensioni di “Snow White” sono 2 centimetri di profondità per 30 di lunghezza (la larghezza è uguale alla larghezza della benna di scavo, 8,5 centimetri). In questo primo abbozzo, il braccio di scavo non ha raggiunto nessuno strato particolare. Il team di controllo del braccio prevede di lavorare per almeno un Sol per approfondire la buca. Dopo un’attenta analisi della struttura del suolo si deciderà quali campioni portare nelle apparecchiature di bordo per l’esame strumentale.
La speranza è quella di trovare uno strato di permafrost, che sarebbe del terreno permanentemente congelato. Se derivasse dall’acqua potrebbe essere un testimone che la vita un tempo era presente su Marte, o potrebbe addirittura contenerne all’interno…
Le attività scientifiche di bordo dovranno rallentare per un paio di Sol dato che Phoenix deve essere programmato per gestire la grande quantità di dati che sta provenendo dal suo lavoro, molti più del previsto. Il team di Terra si sta appunto dedicando a queste modifiche.
Il TEGA sta intanto proseguendo nella cottura e la temperatura è attualmente di 1003°C. A questa temperatura molti minerali possono essere rilevati.
Sui pannelli solari si è depositato un leggero strato di polvere, ma non è nulla di preoccupante. L’energia attualmente disponibile è ben superiore a quella necessaria per la sonda. Anzi, è persino superiore al previsto.
Non sono previsti sistemi di pulitura dei pannelli soprattutto perché i due rover, Spirit ed Opportunity, funzionano ancora dopo quasi 4 anni e mezzo sul Pianeta Rosso. Durante le tempeste di sabbia, il vento tende ad asportare più sabbia di quanta ne depositi. Inoltre nella zona di discesa di Phoenix sono stati fotografati in passato dei “Dust Devils”, dei mulinelli di sabbia in cui il vento gira molto velocemente, che potrebbero spazzare la sonda.
Il meteo si mantiene sul bello stabile con temperatura massima di -32°C e minima di -80°C.
Fonte: siti ufficiali.
martedì 17 giugno 2008
Phoenix – Sol 21.
Lo sfasamento temporale in cui lavora il team scientifico è oggi sulle 9,5 ore e il tempo necessario per definire i movimenti da eseguire in un Sol e per inviarli è di circa 10 ore. Attualmente si sta studiando il modo migliore di eseguire un nuovo scavo in una zona chiamata “Wonderland” vicino all’estremità destra della zona scavabile. Un primo abbozzo è già stato eseguito (vedere foto: è un mosaico in proiezione cilindrica), ma lo scopo è capire se la stratificazione bianca è estesa e soprattutto se si modifica nel tempo. Dopo questo nuovo scavo si deciderà se e quali analisi effettuare sul terreno prelevato.
Se la stratificazione fosse composta di ghiaccio di acqua o di anidride carbonica dovrebbe sublimare o formare della brina. Se invece non subisce modificazioni è probabilmente una stratificazione di sale.
Come già detto la cottura dei campioni dura 4 o 5 giorni e in sequenza il campione viene scaldato prima a 35°C per cercare ghiaccio d’acqua (e nel campione in analisi nel forno 4 non ne è stato trovato). Poi si passa a 180°C (e si è trovata anidride carbonica). Ora siamo alla fase 3 della cottura in cui il campione viene portato a circa 1000°C.
La situazione meteorologica è tendente al bello con sole splendente, temperatura massima -30°C e minima -81°C, pressione in diminuzione a 8,30 mBar e vento da sud a 21 km/h.
Fonte: NASA/JPL.
Se la stratificazione fosse composta di ghiaccio di acqua o di anidride carbonica dovrebbe sublimare o formare della brina. Se invece non subisce modificazioni è probabilmente una stratificazione di sale.
Come già detto la cottura dei campioni dura 4 o 5 giorni e in sequenza il campione viene scaldato prima a 35°C per cercare ghiaccio d’acqua (e nel campione in analisi nel forno 4 non ne è stato trovato). Poi si passa a 180°C (e si è trovata anidride carbonica). Ora siamo alla fase 3 della cottura in cui il campione viene portato a circa 1000°C.
La situazione meteorologica è tendente al bello con sole splendente, temperatura massima -30°C e minima -81°C, pressione in diminuzione a 8,30 mBar e vento da sud a 21 km/h.
Fonte: NASA/JPL.
KazSat si è guastato.
L'unico satellite per telecomunicazioni del Kazakhstan si è irrimediabilmente guastato dopo soli due anni di servizio. Lo ha reso noto Talgat Musayev, il capo dell'Agenzia Spaziale Kazaka. Ha aggiunto che il satellite, chiamato KazSat, ha smesso di rispondere ai comandi e molto probabilmente il controllo non si potrà recuperare.
Il controllo missione ha perso i collegamenti l'8 giugno e tutti i tentativi per recuperare le comunicazioni con il veicolo di costruzione Khrunichev Space Center e Alenia Spazio, sono risultati vani.
KazSat venne lanciato con un Proton-K il 18 giugno 2006 alla presenza del Presidente kazako Nursultan Nazarbayev e di quello russo, Vladimir Putin. Trasportava 12 transponder in banda Ku ed il suo costo era stato di 100 milioni di dollari.
Dopo aver dato alla Russia la possibilità di lanciare i razzi vettori dal suo territorio, con il poligono di Baikonur, il Kazakhstan sta cercando di sviluppare un suo programma spaziale, anche grazie ai suoi forti guadagni provenienti dal settore petrolifero.
Immagine: Roskosmos.
Il controllo missione ha perso i collegamenti l'8 giugno e tutti i tentativi per recuperare le comunicazioni con il veicolo di costruzione Khrunichev Space Center e Alenia Spazio, sono risultati vani.
KazSat venne lanciato con un Proton-K il 18 giugno 2006 alla presenza del Presidente kazako Nursultan Nazarbayev e di quello russo, Vladimir Putin. Trasportava 12 transponder in banda Ku ed il suo costo era stato di 100 milioni di dollari.
Dopo aver dato alla Russia la possibilità di lanciare i razzi vettori dal suo territorio, con il poligono di Baikonur, il Kazakhstan sta cercando di sviluppare un suo programma spaziale, anche grazie ai suoi forti guadagni provenienti dal settore petrolifero.
Immagine: Roskosmos.
lunedì 16 giugno 2008
Phoenix – Sol 20.
Il braccio robotico di Phoenix ha scavato una buca più profonda, unendo i precedenti scavi in una specie di trincea.
La fotografia a colori reali è stata ripresa con il Surface Stereo Imager e rappresenta la trincea chiamata “Dodo-Goldilocks” che è stata scavata in momenti diversi ed attualmente misura 22 centimetri di larghezza per 35 centimetri di lunghezza. La profondità massima è di circa 7-8 centimetri.
Il materiale bianco, che potrebbe essere ghiaccio, è posto nella porzione superiore dello scavo e indica che non è esteso per tutta la superficie della buca. Molto probabilmente lo scavo ha scoperto un’estremità della lastra che compone lo strato.
La foto in falsi colori codifica il terreno in base alla sua profondità nella “Dodo-Goldilocks”. La buca era divisa inizialmente in due chiamate “Dodo” e “Goldilocks” e sono state unite in una unica con una passata di benna centrale. La massima profondità, che è solo 7-8 centimetri, è visualizzata in blu. Dato che il terreno in quel punto è inclinato di 14°, la zona più in alto, in rosa, è circa 20 centimetri più in alto dei quella più bassa. Da questa immagine si nota molto bene che lo strato bianco è praticamente orizzontale, parallelo però alla superficie. Ulteriori scavi potranno evidenziare se anche nell’altra direzione questa stratificazione è orizzontale o se segue la pendenza del terreno.
Queste sarebbero altre indicazioni per capire la natura del materiale biancastro.
Immagini: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona/Texas A&M University.
La fotografia a colori reali è stata ripresa con il Surface Stereo Imager e rappresenta la trincea chiamata “Dodo-Goldilocks” che è stata scavata in momenti diversi ed attualmente misura 22 centimetri di larghezza per 35 centimetri di lunghezza. La profondità massima è di circa 7-8 centimetri.
Il materiale bianco, che potrebbe essere ghiaccio, è posto nella porzione superiore dello scavo e indica che non è esteso per tutta la superficie della buca. Molto probabilmente lo scavo ha scoperto un’estremità della lastra che compone lo strato.
La foto in falsi colori codifica il terreno in base alla sua profondità nella “Dodo-Goldilocks”. La buca era divisa inizialmente in due chiamate “Dodo” e “Goldilocks” e sono state unite in una unica con una passata di benna centrale. La massima profondità, che è solo 7-8 centimetri, è visualizzata in blu. Dato che il terreno in quel punto è inclinato di 14°, la zona più in alto, in rosa, è circa 20 centimetri più in alto dei quella più bassa. Da questa immagine si nota molto bene che lo strato bianco è praticamente orizzontale, parallelo però alla superficie. Ulteriori scavi potranno evidenziare se anche nell’altra direzione questa stratificazione è orizzontale o se segue la pendenza del terreno.
Queste sarebbero altre indicazioni per capire la natura del materiale biancastro.
Immagini: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona/Texas A&M University.
ATV-1 News 17.
Dopo l'allungamento della missione, Jules Verne sta scoprendo nuovi usi.
Fra i compiti previsti è appena cominciato quello di spazzino, infatti gli astronauti hanno appena iniziato a caricarlo con l'immondizia che dovrà disintegrarsi assieme ad ATV-1 quando rientrerà nell'atmosfera. Pensate che anche solo questo sia una cosa semplice? Niente affatto! Ogni sacchetto, scatola, contenitore dovrà essere esattamente sistemato nella posizione che gli verrà assegnata dal controllo missione. E' necessario che il centro di massa venga rispettato, sia mentre è ormeggiato alla ISS e sia mentre rientrerà.
Fra le nuove possibilità, quella più evidente è che c'è! Mi spiego. I 48 metri cubi di volume abitabile lo rendono uno spazio utilizzabile per tutte le attività più comuni che l'equipaggio esegue a bordo.
Soprattutto come isola di privacy, in quanto diventa un ideale ambiente per dormire, grazie alla bassa rumorosità della ventilazione, e per l'igiene personale, quella classica con gli asciugamani inumiditi.
Anche i processori ambientali della capsula aiutano il controllo atmosferico della stazione e questo è un ulteriore uso...
Insomma, anche da USA e Russia fanno i complimenti all'Agenzia Spaziale Europea per il successo dell'operazione, grazie alla quale si potrà anche rinviare all'anno prossimo il Cargo Progress che doveva portare rifornimenti quest'estate.
Il prossimo appuntamento è per il 19 giugno prossimo quando alle 8:43 verrà eseguito un reboost della ISS. E ce ne sono già altri 3 programmati.
Entro fine mese, appena l'orbita sarà stabile, pubblicherò la tabella dei passaggi visibili di luglio per la Stazione Spaziale.
Fra i compiti previsti è appena cominciato quello di spazzino, infatti gli astronauti hanno appena iniziato a caricarlo con l'immondizia che dovrà disintegrarsi assieme ad ATV-1 quando rientrerà nell'atmosfera. Pensate che anche solo questo sia una cosa semplice? Niente affatto! Ogni sacchetto, scatola, contenitore dovrà essere esattamente sistemato nella posizione che gli verrà assegnata dal controllo missione. E' necessario che il centro di massa venga rispettato, sia mentre è ormeggiato alla ISS e sia mentre rientrerà.
Fra le nuove possibilità, quella più evidente è che c'è! Mi spiego. I 48 metri cubi di volume abitabile lo rendono uno spazio utilizzabile per tutte le attività più comuni che l'equipaggio esegue a bordo.
Soprattutto come isola di privacy, in quanto diventa un ideale ambiente per dormire, grazie alla bassa rumorosità della ventilazione, e per l'igiene personale, quella classica con gli asciugamani inumiditi.
Anche i processori ambientali della capsula aiutano il controllo atmosferico della stazione e questo è un ulteriore uso...
Insomma, anche da USA e Russia fanno i complimenti all'Agenzia Spaziale Europea per il successo dell'operazione, grazie alla quale si potrà anche rinviare all'anno prossimo il Cargo Progress che doveva portare rifornimenti quest'estate.
Il prossimo appuntamento è per il 19 giugno prossimo quando alle 8:43 verrà eseguito un reboost della ISS. E ce ne sono già altri 3 programmati.
Entro fine mese, appena l'orbita sarà stabile, pubblicherò la tabella dei passaggi visibili di luglio per la Stazione Spaziale.
STS-124 Fine missione.
La 35esima missione dello Space Shuttle Discovery è stata completata nel migliore dei modi. E' durata 13 giorni, 18 ore, 13 minuti e 7 secondi durante i quali la navetta ha percorso 217 orbite complete, 9,2 milioni di chilometri e dopo aver consegnato il laboratorio giapponese Kibo sulla Stazione Spaziale, il più grande modulo della ISS, è ritornato a Terra planando dolcemente sulla pista 15 del Kennedy Space Center ed ora è già vicino ai suoi fratelli nella Baia di Manutenzione 3 dell'Orbiter Processing Facility, l'edificio dove viene eseguita la manutenzione degli Space Shuttle.
Tutta la missione è stata un pieno successo e nonostante qualche timore per i soliti detriti al lancio, anche tutte le componenti accessorie si sono comportate nel migliore dei modi.
Questo è il calendario degli ultimi 10 lanci Shuttle con il forse della STS-134 per portare in orbita AMS che dovrà essere inserita fra le altre.
Le date e le assegnazioni delle navette sono provvisorie, dato che Atlantis è stato 'ripescato' con una manutenzione completa aggiuntiva.
Le prime 3 sono invece ufficiali.
N° .... Data prev. ... Missione .. Shuttle
124 ... 08/10/2008 ... STS-125 ... Atlantis
125 ... 10/11/2008 ... STS-126 ... Endeavour
126 ... 12/02/2008 ... STS-119 ... Discovery
127 ... 12/03/2009 ... STS-127 ... Endeavour
128 ... 30/04/2009 ... STS-128 ... Atlantis
129 ... 27/08/2009 ... STS-129 ... Endeavour
130 ... 15/10/2009 ... STS-130 ... Discovery
131 ... 18/02/2010 ... STS-131 ... Atlantis
132 ... 08/04/2010 ... STS-132 ... Discovery
133 ... 29/07/2010 ... STS-133 ... Endeavour
Tutta la missione è stata un pieno successo e nonostante qualche timore per i soliti detriti al lancio, anche tutte le componenti accessorie si sono comportate nel migliore dei modi.
Questo è il calendario degli ultimi 10 lanci Shuttle con il forse della STS-134 per portare in orbita AMS che dovrà essere inserita fra le altre.
Le date e le assegnazioni delle navette sono provvisorie, dato che Atlantis è stato 'ripescato' con una manutenzione completa aggiuntiva.
Le prime 3 sono invece ufficiali.
N° .... Data prev. ... Missione .. Shuttle
124 ... 08/10/2008 ... STS-125 ... Atlantis
125 ... 10/11/2008 ... STS-126 ... Endeavour
126 ... 12/02/2008 ... STS-119 ... Discovery
127 ... 12/03/2009 ... STS-127 ... Endeavour
128 ... 30/04/2009 ... STS-128 ... Atlantis
129 ... 27/08/2009 ... STS-129 ... Endeavour
130 ... 15/10/2009 ... STS-130 ... Discovery
131 ... 18/02/2010 ... STS-131 ... Atlantis
132 ... 08/04/2010 ... STS-132 ... Discovery
133 ... 29/07/2010 ... STS-133 ... Endeavour
domenica 15 giugno 2008
Recensione.
Oggi dedico una presentazione al Sito internet di un Amico.
Massimo Martini è un grande appassionato di Astronautica e lo si nota in ogni sua pagina.
Il sito è www.astronautica.us e si intitola Astronautica, Ultima Speranza.
Ci sono tantissime notizie che spaziano (è proprio il caso di dirlo!) in tutti gli ambiti: missioni storiche, recenti, abitate, automatiche, senza contare un aggiornamento costante.
Il tutto, ovviamente, in Italiano!
Vi riporto l'introduzione al Sito.
Benvenuti nel sito italiano dedicato all'Astronautica.
Ovvero tutto quello che l'uomo ha fatto e sta facendo per esplorare lo spazio. Troverete pagine dedicate ad argomenti diversi e quando ci saranno missioni terremo le notizie aggiornate in continuazione.
In fondo si tratta del futuro dell'Umanità!
- La nostra Ultima Speranza.
Lo so che è un sito molto bello, ma mi raccomando, qualche volta tornate anche qui!
Massimo Martini è un grande appassionato di Astronautica e lo si nota in ogni sua pagina.
Il sito è www.astronautica.us e si intitola Astronautica, Ultima Speranza.
Ci sono tantissime notizie che spaziano (è proprio il caso di dirlo!) in tutti gli ambiti: missioni storiche, recenti, abitate, automatiche, senza contare un aggiornamento costante.
Il tutto, ovviamente, in Italiano!
Vi riporto l'introduzione al Sito.
Benvenuti nel sito italiano dedicato all'Astronautica.
Ovvero tutto quello che l'uomo ha fatto e sta facendo per esplorare lo spazio. Troverete pagine dedicate ad argomenti diversi e quando ci saranno missioni terremo le notizie aggiornate in continuazione.
In fondo si tratta del futuro dell'Umanità!
- La nostra Ultima Speranza.
Lo so che è un sito molto bello, ma mi raccomando, qualche volta tornate anche qui!
Phoenix – Sol 19.
Nessuna novità di rilievo per il Sol odierno e allora raccolgo un po’ di notizie che Phoenix ci invia attraverso Twitter, il servizio di messaggistica istantanea a cui mi sono iscritto anch’io, ma che non ho ancora utilizzato molto. È un servizio curioso, simpatico e questo in particolare per Phoenix è pensato come se la sonda parlasse e rispondesse in prima persona. Sono già oltre 20'000 le persone che seguono il lander che racconta quello che succede su Marte. Il 7 giugno per esempio, scriveva: “Stasera guardate la Luna Crescente. Quella stellina rossastra che si vede vicino non è una stella, ma è Marte. Lì ci sono io che vi saluto! :)”
Le analisi eseguite nel TEGA, composto dalla serie di 8 fornetti che cuociono i campioni, durano circa 5 giorni. Di solito al quarto si possono avere dei dati preliminari, ma non sono affidabili.
Uno dei motivi per cui il terreno non è sceso subito nel forno 4 del TEGA, ma ha richiesto 7 scuotimenti, potrebbe essere la presenza di ghiaccio che teneva agglomerati i granelli di terreno. Una volta sublimato il ghiaccio il campione si è sfaldato. Gli sportelli del TEGA non vengono richiusi durante l’analisi, anche perché non è previsto che tutto quello che viene vuotato sopra i setacci entri e che quindi si sgombri l’accesso per la richiusura. Comunque l’analisi avviene nella parte più profonda dello strumento. Ogni forno può essere usato una volta sola: non c’è possibilità di svuotarlo.
Attualmente il team che segue la sonda sul pianeta deve adattarsi al giorno marziano che al momento inizia verso le 4 del mattino della Costa Ovest americana. Il Sol marziano dura circa 24 ore e mezza, quindi si ha uno sfasamento continuo fra i giorni e i Sol. In pratica ogni 49 giorni sono 48 Sol.
Il canale dati che raggiunge la Terra attraverso Odyssey e MRO è di 128 kbit/s e ogni giorno vengono scambiati circa 120 Mbit di dati.
La missione ha una vita prevista di 90 Sol (92 giorni) e dopo quel termine il freddo sarà tale e la luce sarà così scarsa da obbligare gli strumenti di bordo a spegnersi per entrare in un periodo di ibernazione. La produzione attuale di elettricità è di 240 Wh al giorno. Non ci sono possibili alternative allo spegnimento. L’unica speranza è che funzioni la modalità operativa “Lazzaro”, che consiste nel mantenere attivo un piccolo elaboratore che possa permettere a Phoenix, qualora si risvegliasse dopo il lungo inverno, di inviare un segnale di presenza in vita. Dopo la rinascita come fenice, non sarebbe male se rinascesse anche come Lazzaro…
In foto gli strati chiari che spiccano negli scavi eseguiti.
Le analisi eseguite nel TEGA, composto dalla serie di 8 fornetti che cuociono i campioni, durano circa 5 giorni. Di solito al quarto si possono avere dei dati preliminari, ma non sono affidabili.
Uno dei motivi per cui il terreno non è sceso subito nel forno 4 del TEGA, ma ha richiesto 7 scuotimenti, potrebbe essere la presenza di ghiaccio che teneva agglomerati i granelli di terreno. Una volta sublimato il ghiaccio il campione si è sfaldato. Gli sportelli del TEGA non vengono richiusi durante l’analisi, anche perché non è previsto che tutto quello che viene vuotato sopra i setacci entri e che quindi si sgombri l’accesso per la richiusura. Comunque l’analisi avviene nella parte più profonda dello strumento. Ogni forno può essere usato una volta sola: non c’è possibilità di svuotarlo.
Attualmente il team che segue la sonda sul pianeta deve adattarsi al giorno marziano che al momento inizia verso le 4 del mattino della Costa Ovest americana. Il Sol marziano dura circa 24 ore e mezza, quindi si ha uno sfasamento continuo fra i giorni e i Sol. In pratica ogni 49 giorni sono 48 Sol.
Il canale dati che raggiunge la Terra attraverso Odyssey e MRO è di 128 kbit/s e ogni giorno vengono scambiati circa 120 Mbit di dati.
La missione ha una vita prevista di 90 Sol (92 giorni) e dopo quel termine il freddo sarà tale e la luce sarà così scarsa da obbligare gli strumenti di bordo a spegnersi per entrare in un periodo di ibernazione. La produzione attuale di elettricità è di 240 Wh al giorno. Non ci sono possibili alternative allo spegnimento. L’unica speranza è che funzioni la modalità operativa “Lazzaro”, che consiste nel mantenere attivo un piccolo elaboratore che possa permettere a Phoenix, qualora si risvegliasse dopo il lungo inverno, di inviare un segnale di presenza in vita. Dopo la rinascita come fenice, non sarebbe male se rinascesse anche come Lazzaro…
In foto gli strati chiari che spiccano negli scavi eseguiti.
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