Phoenix ha visto la neve cadere dalle nubi marziane.
Gli esperimenti sul suolo hanno anche fornito evidenze della passata interazione fra i minerali e l’acqua liquida, processi che avvengono anche sulla Terra.
Uno strumento laser, il LIDAR, progettato per scoprire in che modo l’atmosfera e la superficie interagiscono, ha scoperto la caduta di neve da alte nubi a circa 4 km di quota sopra la sonda. Le osservazioni mostrano però che la neve si vaporizza prima di raggiungere la superficie.
“Nulla di lontanamente simile è mai stato visto su Marte”, ha detto Jim Whiteway della York University di Toronto, responsabile della stazione meteorologica canadese installata a bordo della sonda. “Cercheremo le prove che la neve possa giungere al suolo”.
Gli esperimenti di Phoenix hanno raccolto indizi sul carbonato di calcio, primo componente del gesso e particelle che possono essere argilla. La maggior parte dei carbonati e delle argille si formano soltanto in presenza di acqua liquida.
“Stiamo ancora raccogliendo i dati ed abbiamo ancora molte analisi da eseguire, ma stiamo facendo grandi progressi nella risposta alle domande che ci siamo posti”, ha detto Peter Smith, capo studioso del progetto Phoenix presso la University of Arizona di Tucson.
Fin dall’atterraggio avvenuto il 25 maggio scorso, Phoenix ha confermato che lo strato duro sotto la superficie della zona di discesa contiene ghiaccio d’acqua. La determinazione della possibilità che quel ghiaccio si sia un tempo sciolto, potrebbe aiutare a capire se l’ambiente sia mai stato favorevole alla vita, un obiettivo chiave della missione.
L’evidenza del carbonato di calcio nei campioni di terreno provenienti dagli scavi aperti dal braccio robotico provengono dai due principali strumenti chimici di bordo: il TEGA e il MECA.
“Abbiamo trovato il carbonato”, ha detto William Boynton della University of Arizona, responsabile del TEGA. “E questo indica antichi episodi di interazione con l’acqua”.
L’evidenza della presenza di carbonato di calcio proviene dal rilascio ad alta temperatura di anidride carbonica dai campioni. La temperatura di rilascio combacia con la temperatura a cui il carbonato di calcio si decompone rilasciando anidride carbonica, rilevata dallo spettrometro di massa.
L’evidenza dal MECA proviene da un effetto di saturazione caratteristico del carbonato di calcio rivelato dall’analisi umida. La concentrazione di calcio misurata era esattamente quella prevista per una soluzione satura di carbonato di calcio.
Sia il TEGA che la parte di microscopio del MECA hanno suggerito che potesse essere una sostanza simile al gesso. “Vediamo particelle levigate con il microscopio a scansione, non consistenti con l’apparenza delle particelle di gesso che solitamente sono frastagliate”, ha detto Michael Hecht, responsabile del MECA al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena.
La missione Phoenix, prevista all’inizio per una durata di 3 mesi, è ora nel suo quinto mese. Consideriamo comunque che la sonda sta andando incontro ad una progressiva diminuzione dell’energia disponibile che restringeranno le attività fino alla definitiva interruzione entro la fine dell’anno.
Prima della perdita totale di energia verrà tentata l’attivazione del microfono per ascoltare i rumori di Marte.
“Per circa tre mesi dall’atterraggio il Sole non è mai sceso sotto l’orizzonte sul nostro sito di discesa”, ha detto Barry Goldstein project manager di Phoenix al JPL. “Ora sparisce oltre l’orizzonte per 4 ore ogni notte e la potenza che scaturisce dai pannelli solari sta diminuendo settimana dopo settimana. Prima della fine di ottobre l’energia non sarà più sufficiente per muovere il braccio robotico”.
La situazione meteo del Sol 112 era la seguente:
Temperatura massima -35°C
Temperatura minima -90°C
Pressione 7,43 mBar
Legermente nuvoloso con brina mattutina e dust devil nel pomeriggio.
La prima immagine generata con le riprese del Mars Global Surveyor, mostra il punto di discesa di Phoenix: 68,2° latitudine nord e 234,2° longitudine est.
La seconda è ripresa nel microscopio ottico ed ha una larghezza totale di 2mm. Rappresenta i granuli che compongono il terreno marziano, mediamente di circa 1/10 di millimetro di diametro raccolti in un punto magnetico della ruota di distribuzione dei campioni. Questo dimostra che i granuli sono più attivi magneticamente della polvere fine.
Nella terza vedete la brina che, di Sol in Sol, tende ad essere sempre più spessa.
Foto: NASA/JPL.
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